A meno che non siate completamente disconnessi dal mondo, è probabile che abbiate sentito parlare della controversia sorta tra Apple e FBI riguardo l’accesso ai dati contenuti nell’iPhone appartenuto all’attentatore della strage di San Bernardino.1
Cerco di riportare i fatti in breve. Il 16 febbraio scorso, in una lettera aperta, il CEO di Apple Tim Cook ha reso noto che l’FBI ha chiesto e ottenuto un’ordinanza per indurre l’azienda a collaborare nel recupero dei dati contenuti in un iPhone trovato durante le indagini. Chiaramente Apple aveva già fatto la sua parte, fornendo alle autorità le informazioni presenti nei server di Cupertino, ma il sistema operativo degli iPhone è strutturato in modo tale da rendere impossibile l’accesso al contenuto del dispositivo senza conoscere il codice di sblocco.
Dopo due mesi ti tentativi infruttuosi, l’FBI ha dunque chiesto ad Apple di compilare ad hoc una versione di iOS priva di alcuni sistemi di sicurezza, di modo da poterla poi installare sul telefono in loro possesso e accedere ai dati con maggiore facilità. L’ordinanza del giudice impugnata dai Federali non è però vincolante e lascia all’azienda la possibilità di opporvisi, facoltà che Tim Cook ha deciso di esercitare, spiegando le sue ragioni nella lettera citata in apertura.
A fronte di questa spinosa vicenda, come spesso accade, l’opinione pubblica si è polarizzata: da un lato chi vede Apple come paladina della privacy, dall’altro chi ritiene che un’azienda non possa metter becco nelle questioni di sicurezza nazionale.
Tempo fa scrissi un post dal titolo “Ecco perché continuerò ad usare iPhone”, il che non lascia dubbi su quale sia la mia opinione. In quel post non provai nemmeno a nascondere la natura ideologica della mia posizione, ma per quanto riguarda questa vicenda ho invece un parere ben più ragionato che credo valga la pena esporre; lo farò sotto forma di risposta alle due critiche che maggiormente ho visto rivolgere a Tim Cook.
Critica 1 – L’FBI è interessata a quello specifico iPhone, accontentarla non mette a rischio tutti gli utenti.
Occorre innazitutto ricordare che l’Intelligence degli Stati Uniti ha un pessimo precedente in materia di violazione della privacy: poco più di due anni fa Edward Snowden rivelò pubblicamente i dettagli dei programmi di sorveglianza di massa svolti dall’NSA, il che fa sollevare più di un legittimo dubbio riguardo le intenzioni dei federali e la loro effettiva volontà di distruggere la versione modificata di iOS, una volta raggiunto il loro scopo.
La vera risposta alla critica però la fornisce già Tim Cook nella sua lettera aperta: la sola esistenza di una simile versione di iOS sarebbe un rischio enorme per la sicurezza di moltissimi utenti. Non esistono infatti “mani” abbastanza sicure quando si tratta di custodire del codice informatico, figurarsi poi se l’oggetto in questione è la chiave d’accesso ai dati contenuti in un numero impressionante di dispositivi; i migliori (o peggiori, dipende dai punti di vista) cybercriminali in circolazione non esiterebbero un minuto a cercare di impadronirsene.
Infine, per sgretolare la tanto abusata tesi “ma tanto non ho nulla da nascondere”, basta citare il recente caso riguardante Hacking Team. Per chi non lo sapesse, Hacking Team è una società Italiana che vende software di sorveglianza elettronica a governi e servizi segreti di tutto il mondo, è talmente famigerata che Reporter senza frontiere l’ha inserita nella lista dei “nemici di Internet”. È balzata agli onori della cronaca per essere stata vittima — ironia della sorte — di un attacco informatico, in seguito al quale tantissime informazioni riservate sono diventate di dominio pubblico tramite il sito WikiLeaks. Si è venuti quindi a conoscenza di dettagli preoccupanti, quali trattative con governi non rispettosi dei diritti umani e verso cui vige l’embargo dell’ONU (ad esempio il Sudan), oppure l’ultilizzo di exploit per fabbricare false prove con cui incriminare dei bersagli.
Questa vicenda non insegna solo che gli strumenti di sorveglianza possono essere utilizzati per fini malevoli, ma anche che persino chi lavora nell’ambito della sicurezza informatica può cadere vittima di attacchi esterni e venire pesantemente danneggiata. Ne consegue che le mani dell’FBI non possono dirsi sicure.
Critica 2 – La mancanza di fiducia in governo ed autorità giudiziaria compromette il contratto sociale su cui la società stessa si basa.
Questa critica è stata mossa, tra gli altri, anche da Beppe Severgnini in un suo articolo e solleva una tematica tanto spinosa quanto interessante.
Il contratto sociale è, secondo diversi filosofi, l’atto con cui gli esseri umani superano l’incertezza dello stato di natura, cedendo una parte della loro libertà in cambio della protezione statale.
Il tradeoff “libertà-sicurezza” è al centro della prospettiva contrattualistica ed ha assunto primissima rilevanza in seguito all’attentato dell’11 settembre 2001, data di inizio di quella che è stata battezzata la “guerra al terrore”. Ora, dando per scontato che vivere in una democrazia sia ampiamente desiderabile, occorre sottolineare che nel passaggio da un’organizzazione autoritaria ad una democratica dei poteri dello Stato, pari quantità di sicurezza dovrebbero essere compatibili con più elevate quantità di libertà.
Il deflagare del terrorismo nel nuovo millennio e le risposte messe in campo da molti governi occidentali, hanno conferito nuovo smalto all’entità statale quale garante della sicurezza dei propri cittadini; come risultato stiamo assistendo alla proposizione di politiche che limitano la libertà dei cittadini promettendo in cambio maggiore sicurezza. Questa tesi è la stessa da cui muoveva le sue riflessioni Thomas Hobbes e può essere sintetizzata nella domanda fondamentale: “Più liberi o più sicuri?”. La prospettiva del filosofo britannico vede necessario rinunciare a qualche grado di libertà per ottenere un po’ più di ordine e sicurezza; qua di seguito vediamo la “curva di Hobbes” rappresentata su un piano cartesiano.
Ad integrare il punto di vista pessimistico appena illustrato, conviene segnalare l’osservazione di John Locke che, diversamente dal suo connazionale, era più preoccupato dalle minacce alla sicurezza che governi autoritari possono attuare nei confronti dei loro cittadini. Alla domanda “Più liberi o più sicuri?” Locke risponde: “Sicuri perché liberi!”; se per Hobbes il trade-off “libertà-sicurezza” è negativo, per Locke diventa invece positivo: la crescita della prima è garanzia per la crescita della seconda. Ecco di seguito la “retta di Locke”.
Chi dei due ha ragione? La risposta è piuttosto banale: entrambi. La garanzia di stabilità interna e di difesa dall’esterno non elimina i potenziali danni dello Stato nei confronti della sicurezza individuale, la quale risulta tutelata da una serie di diritti fondamentali che le istituzioni sono strutturate per garantire. Ecco infatti quello che accade combinando la “curva di Hobbes” con la “retta di Locke”.
Al di sopra un livello minimo di libertà (L1) prevale la curva, ma quando si scende al di sotto di tale soglia inizia a prevalere la retta, dal momento che alle minacce provenienti dalla società o dall’esterno si sommano quelle causate da governanti autoritari: sotto il livello L1 ogni rinuncia — anche piccola — in termini di libertà produce solo minore sicurezza.
Quindi, a mano a mano che si decidesse di rinunciare (anche provvisoriamente) all’esercizio e alla tutela di qualche diritto legittimo nella speranza di recuperare sicurezza, si finirebbe in realtà con l’alimentare una spirale diretta al peggioramento tanto in termini di libertà quanto in termini di sicurezza.2 È proprio per questo che, a mio modo di vedere, Apple ha tutte le ragioni di questo mondo per opporsi alla decisione dell’FBI.
Recentemente intervistato sulla vicenda, l’amministratore delegato di Apple ha rivelato che negli ultimi cinque mesi i federali hanno avanzato simili richieste ben quindici volte, segnale dunque di un interesse non circoscritto agli avvenimenti di San Bernardino. Acconsentire vorrebbe dire creare un precedente con implicazioni ben al di là di quello che possiamo immaginare. Non viviamo affatto in una società perfetta, ma quel minimo di conquiste di cui oggi possiamo godere sono state ottenute grazie a persone che hanno dato la vita per costruire un futuro migliore; dobbiamo riflettere molto a lungo prima di concedere anche solo una minima ed (apparentemente) insignificante deroga a quelli che sono i pilastri di un ordinamento democratico.
Spero che questo mio post possa fungere da invito a riflettere su di una posizione che non ho visto molto considerata — per lo meno dalla stampa italiana.
AGGIORNAMENTO 15/03/2016: John Oliver, nell’episodio di Last Week Tonight andato in onda tre giorni fa, parla di crittografia e mette in luce la complessità del caso Apple vs FBI anche da punti di vista che non ho considerato. Lo aggiungo di seguito, in quanto credo possa essere una buona integrazione al discorso.
- Per avere un quadro completo della vicenda, suggerisco la lettura di questo articolo del Post e di quest’ottima analisi scritta da Fabio Chiusi per ValigiaBlu. ↩
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Cfr. F. Andreatta, M. Clementi, A. Colombo, M. Koenig-Archibugi
V. E. Parsi, Relazioni Internazionali – Seconda edizione, Il Mulino, Bologna 2012, pp. 269-271. ↩