Ecco perché continuerò ad usare iPhone

Chi mi conosce sa che c’è stato un tempo in cui mi sarei tranquillamente potuto definire un Apple Evangelist, una di quelle persone talmente appassionate dei prodotti Apple da essere capaci di parlarne per ore senza stancarsi. Tessevo le lodi degli iGadget, deridendo Microsoft, compatendo Linux e snobbando Google; talvolta il mio punto di vista era sensato, altre volte decisamente distorto.

Fortunatamente questa fase si può dire superata: sono ancora generalmente molto soddisfatto di essere utente Apple, ma non ritengo più che i suoi prodotti siano sempre e comunque migliori di quelli concorrenti, li utilizzo perché mi piacciono, trovo appagante usarli e hanno tutte le funzioni di cui ho bisogno. Non nascondo però di essermi fatto più di uno scrupolo, un anno fa, ad acquistare l’iPhone 6: 840€ sono tanti per un telefono, troppi contando che non posso più definirmi un appassionato di tecnologia. In testa mi balenavano tutti i modi alternativi in cui potevo spendere quella cifra: “Posso viaggiare, posso tuffarmi in un mare di libri!”, mi dicevo; avrei potuto acquistare uno dei molti validi smartphone Android e risparmiare un sacco di soldi.

Alla fine ho ceduto e l’ho comprato, forse per abitudine, forse per supposta necessità. Quel tarlo però non mi ha mai del tutto abbandonato e ogni tanto, mentre fisso lo schermo in cerca di nuovi stimoli, ho una strana sensazione che mi prende lo stomaco e risale per la gola: rimpianto, occasione sprecata. Oggi però, riflettendo sulla questione, ho avuto una sorta di epifania e ora ho la certezza che anche il mio prossimo telefono sarà un iPhone, così come il successivo. È di questo che voglio parlare: come mai questo repentino cambio di posizione?

Ho detto in apertura che non sono più un fanatico di Apple, perché ora la vedo per quello che è: un azienda votata al profitto, esattamente come la sua concorrenza; Tim Cooks può dirsi preoccupato riguardo la mia custumer satisfaction, ma alla fine è soltanto un mezzo per arrivare al mio portafogli. I soldi sono quello che davvero conta, è uno degli effetti collaterali di essere nati in una società capitalistica. Questa è chiaramente un’ovvietà, eppure come tutti i cliché viene trascurata e si finisce per perdere di vista alcune dinamiche di assoluta importanza, ci si dimentica cos’è l’acqua, per citare David Foster Wallace.

Guardando al mercato degli smartphone troviamo diversi produttori, ma se ci concentriamo sul Sistema Operativo la fanno da padrone due compagnie: Apple e Google, la prima è storicamente focalizzata sui prodotti di consumo, mentre la seconda sui servizi online1. È noto che Big G consenta l’ultilizzo dei propri servizi in cambio delle informazioni appartenenti all’utenza, dati che vengono poi venduti all’industria pubblicitaria fruttando grossi guadagni. Questa è la versione molto semplificata del business model di Google, la realtà è decisamente più complessa2 perché le informazioni costituiscono un capitale a sé stante, strettamente correlato a quello monetario; informazione è potere. I dati raccolti vengono usati per migliorare i servizi offerti, vengono venduti ad un ampio numero di acquirenti, ma anche occasionalmente forniti ai governi — come dimostra lo scandalo relativo all’NSA. Posso passare una giornata pensando a vari modi in cui far fruttare un’insieme di dati e sicuramente non mi verrebbero in mente tutte le possibilità: le informazioni sono tremendamente versatili e questo dà a Google un potere enorme.

Don’t be evil”, recita il vecchio motto di compagnia. Anche a far finta di crederci, c’è poco da stare allegri perchè nella migliore delle ipotesi i dati dell’utenza vengono usati a fini commerciali e questo, ai miei occhi, ha un che di morboso. Le informazioni su di me costituiscono una parte della mia identità, il che significa che io sto “vendendo” me stesso a Google e non ho alcun controllo su quello che la compagnia deciderà di fare con quei “frammenti” di me. La questione relativa alla privacy, che di questi tempi preoccupa almeno tante persone quante sono quelle che lascia pericolosamente indifferenti, ha molte implicazioni perché strettamente legata alla nostra identità, alla nostra libertà; io rifiuto di affidare ciò che mi rende umano ad una azienda votata al profitto!

Il discorso appena fatto potrà sembrare fumoso ed astratto (ho questa tendenza, purtroppo), quindi voglio fare un esempio concreto. La scorsa estate un gruppo di hacker ha sottratto le informazioni degli iscritti al noto sito di incontri Ashley Madison, minacciando di renderle pubbliche se il portale non fosse stato chiuso. Come era prevedibile la minaccia è rimasta inascoltata, al che gli hacker hanno reso pubblici nomi, indirizzi email, domicilio, transazioni e dati di vario genere appartenenti a tutti gli iscritti. Una situazione simile sarebbe spinosa per chiunque, ma lo è stata in particolare per quelle persone di orientamento omosessuale, che si erano serviti della riservatezza garantita da quel sito per potersi incontrare in luoghi dove avere rapporti intimi con un membro dello stesso sesso è reato capitale. Un utente di Reddit ha portato l’attenzione al problema con un thread intitolato: “I May Get Stoned to Death for Gay Sex (Gay Man from Saudi Arabia Who Used Ashley Madison for Hookups)”.

L’orientamento sessuale di una persona è parte della sua identità, così come i suoi gusti in fatto di abbigliamento, le sue idee politiche, e tutto ciò che costituisce la sua visione del mondo; tutto questo può essere compresso in un insieme di dati utilizzabili in tantissimi modi, molti dei quali non riesco nemmeno ad immaginarmeli. Vorrei credere di non aver nulla da temere, dal momento in cui vivo in un regime democratico che garantisce un ampio numero di diritti e libertà, ma la verità è che non è così, basti pensare alle rivelazioni di Edward Snowden e ad Hacking Team! Senza contare che, per quanto lo status quo tenda a perpetrare sé stesso, non possiamo permetterci di dare per scontata l’attuale configurazione della realtà soltanto perché è quella con cui abbiamo sempre avuto a che fare. Potrebbe anche darsi che la polarizzazione del conflitto tra ISIS e Occidente porti ad una presa del potere da parte dei partiti di destra estrema, con conseguenze deleterie per la libertà individuale — come peraltro avvenne in seguito all’11 settembre.

Non posso evitare di lasciare tracce nel Web e sarebbe poco pratico (impossibile?) fare completamente a meno di Google, ma in un mondo in cui gli smartphone sono sempre più importanti per la vita quotidiana, preferisco scegliere i prodotti di una compagnia che si fa pagare alla vecchia maniera e considera la tutela alla privacy uno dei suoi cavalli di battaglia, piuttosto che gettarmi verso un’idrovora di informazioni quale è Google. Ecco perché rimarrò utente Apple, finchè mi sarà possibile.3


  1. Ed è dannatamente brava in questo campo, Apple ha solo da imparare. 
  2. Qua mi tocca alzare le mani al cielo e dichiarare la mia ignoranza, non ho idea di quale sia la stratega di Google nel dettaglio. 
  3. È bene notare che anche Apple ha avuto problemi con la privacy dei suoi utenti, quindi bisognerebbe sempre usare un minimo di buon senso quando si tratta di svolgere operazioni online.