Voglio spendere due parole sulla tendenza alla “cloudizzazione” che sta dilagando nell’ultimo periodo, con un riguardo particolare alla musica.
Ho sempre avuto un rapporto travagliato con la musica digitale, dove con “travagliato” intendo dire che ho sempre piratato tantissimo. E chi non l’ha fatto, in fondo? Internet mi ha dato la possibilità di ampliare molto i miei gusti, ma ciò è sempre andato a discapito della qualità.
È un discorso ampio che non riguarda soltanto la musica, ma la società in generale: si tende a privilegiare la quantità alla qualità; quando si ha accesso ad un database immenso e potenzialmente gratuito è facile lasciarsi prendere la mano e mettere in download intere discografie, solo perché una canzone di quell’artista/gruppo ci ha colpito in modo particolare. Tutt’oggi ho cinque o sei album nella mia libreria ai quali non ho dedicato più di un ascolto, ha senso tutto ciò?
Da almeno un anno ho iniziato ad invertire questo processo, riscoprendo il piacere di acquistare determinati album, anche solo per il gusto di supportare gli artisti che mi piacciono. Io, poi, sono esagerato di mio e sto apprezzando anche il fascino del vinile (magari scriverò qualcosa a proposito), ma questa è un’altra storia.
Relativamente all’acquisto della musica, in stile ‘iTunes Store’, o al pagare per accedere ad un database, in stile ‘Spotify’, sorge un altra questione: la qualità del prodotto. Magari è una mia fissazione, può essere sia io la mosca bianca, ma se pago per dei file musicali, pretendo siano della massima qualità possibile. Questo è un grosso problema, perché gli store che permettono l’acquisto di musica in formato lossless sono davvero pochi e misconosciuti.
La tanta apprezzata “nuvola” che consente di avere a disposizione la musica in streaming, ovviamente, è costretta a comprimere i file musicali e questo mi dà abbastanza fastidio. Non sono d’accordo con chi afferma che iTunes, inteso come riproduttore musicale, non dovrebbe più esistere e che il futuro sia del cloud: che senso ha pagare per un prodotto che, di fatto, è scadente? Posso condividere la prospettiva di un ascolto “casual” e poco impegnato, quando si è sui mezzi pubblici o si sta camminando per strada, ma quando torno a casa, vorrei poter ascoltare sul mio impianto dei file che abbiano una qualità degna dei soldi che ho investito nel loro acquisto. A mio parere è un punto di vista di cui andrebbe tenuto conto, ma mi rendo conto di fare parte di un’esigua minoranza e, si sa, nel mercato dei consumatori le minoranze non hanno molto peso.