Il mondo nella nostra testa

Some People
Fonte


Guardati allo specchio. La vedi quella immagine? Poco importa se quel volto suscita in te sentimenti di stima, vergogna, preoccupazione, o tutti quanti assieme: l’individuo che stai fissando è tutto il tuo mondo. È l’unica persona che puoi dire di conoscere realmente (anche se, forse, la conosci meno di ciò che credi), l’unica persona che è sempre stata con te e che — puoi star sicuro — rimarrà fino alla fine, l’unica persona di cui sai con certezza pensieri ed opinioni. Quella persona è il perno di tutta la tua esistenza, la sola di cui puoi verosimilmente dare una valutazione complessiva.

Per ognuno di noi è così. Eppure continuiamo a proiettarci sugli altri, negli altri; continuiamo imperterriti ad attribuire a terze persone una serie di pensieri, atteggiamenti, modi di essere, categorizzazioni, spesso senza neanche mettere in dubbio il nostro giudizio. Che titolo abbiamo per farlo? Sarebbe un azzardo anche se conoscessimo per filo e per segno la loro storia, figurarsi quando — come spesso accade — ci basiamo sulla singola diapositiva catturata dai nostri occhi e passata sotto il filtro di esperienze passate, pregiudizi e comun sentire. Stabiliamo come una persona è e, talvolta, persino come o cosa diventerà.

Non ha senso dare giudizi sulle persone, perché nessuno è sempre in un modo, e spesso non capiamo nemmeno ciò che si trova sotto i nostri occhi. Definire un individuo come “buono” o “cattivo”, significa condannarlo ad essere sempre identico a sé stesso;1 è come compiere un omicidio: nella nostra mente noi uccidiamo qualcuno, per sostituirlo con l’immagine che ci siamo creati di lui, tramite l’assolutizzazione delle nostre percezioni.

Questo comportamento è figlio della malsana ossessione che abbiamo per noi stessi, la stessa ossessione che alimenta lo Spotlight Effect e rende la nostra vita quotidiana sempre più stressante. Temiamo il giudizio altrui, eppure siamo i primi a giudicare il prossimo: è un cane che si morde la coda.

È bene tener presente il confine tra pensiero e realtà.


  1. Questa frase è tratta da un più ampio discorso che una monaca zen ha tenuto allo scorso Festival dell’Oriente, a Milano.