100 cartoncini azzurri

Era una fredda mattinata invernale, mi pare fosse dicembre, ed io camminavo per le strade milanesi, intento a raggiungere l’università. Procedevo assorto nei miei pensieri, forse un po’ malinconici, ma talmente invitanti da non farmi percepire il disagio del vento gelido sulle mie guance; era un “periodo così”, tra tanti “periodi così” che si incontrano di quando in quando, e ricordo chiaramente la fin troppo familiare sensazione di trovarmi chiuso in una gabbia invisibile, con una voglia travolgente di libertà che mi ardeva in petto, ma che cozzava con un’inspiegabile senso di impotenza.

Girai l’angolo ed entrai spedito in una fermata della metropolitana, con il corpo che si muoveva senza bisogno di alcun intervento da parte del mio cervello, talmente il percorso era abituale. Arrivai sulla banchina ancora avvolto dalla coltre di pensieri, ma questi si interruppero di botto al suono del treno in avvicinamento; trovo sempre stupefacente la potenza dell’istinto di sopravvivenza: non importa cosa stai facendo, se i tuoi sensi captano un potenziale pericolo, tutta la tua attenzione viene catalizzata istantaneamente verso la potenziale minaccia.

Un treno non è però una minaccia, o almeno non lo è stato in quel frangente. Una volta varcata la soglia mi sedetti al primo posto libero e mi guardai attorno: il vagone era semi-vuoto, silenzioso. Con diverse fermate da affrontare decisi che l’opzione migliore era impormi la veglia e resistere al richiamo di Morfeo, sempre troppo bravo a sedurre quando viaggio sui mezzi di trasporto; con il senno di poi, è stata una delle migliori decisioni che presi quel giorno.

Il treno ripartì. Dopo qualche minuto ed una manciata di fermate, le porte davanti a me si aprirono su di una ragazza che, nell’entrare, catturò all’istante la mia attenzione. Non era una bellezza folgorante, sicuramente non si trattava di una di quelle ragazze che fan girare la testa ai passanti, ma aveva un qualcosa nel viso che me la fece piacere davvero molto, a primo impatto. Notai inoltre una strana luce nei suoi occhi: non so bene il perché, ma mi sembrava molto triste.

Ricordo di aver pensato quanto fosse un peccato che una così bella ragazza fosse avvolta da una tale aurea di tristezza, da lì il mio cervello si mise in moto: pensai che tutte le persone che incontro quotidianamente e che spesso non degno nemmeno di uno sguardo, hanno vite ricche di emozioni, gioie e dolori1; pensai che, a volte, un solo gesto o una sola parola possono fare la differenza nella giornata di qualcuno, come diverse volte era capitato a me; pensai che, forse, avrei potuto fare io quel gesto, invece di sperare che altri lo facessero nei miei confronti. Fu così che mi venne quella che reputo una delle migliori idee che abbia mai avuto.

Appena ebbi un attimo di tempo, mi recai sul sito di MOO ed ordinai cento minicard come queste.

Qual era il mio piano? Donarne una ad ogni ragazza che, per un motivo o per l’altro, mi avesse colpito in positivo. Il gesto avrebbe dovuto essere completamente disinteressato, e per raggiungere lo scopo ho volutamente tralasciato di aggiungere i miei contatti sui biglietti: l’unica motivazione era portare un sorriso.

Ad essere completamente onesto, una seconda motivazione c’era: volevo uscire dalla mia comfort-zone, volevo vincere timidezza e paure infondate e questo mi sembrò un ottimo metodo, senza contare che mi avrebbe anche consentito di ampliare il mio giro di conoscenze. Un win-win totale, insomma.

Tutto questo accadde un anno e mezzo fa e, da allora, sono successe molte cose. Ricordo nitidamente il primo biglietto consegnato: lo diedi ad una biondina che avevo visto in università, con il cuore che batteva a mille e lo stomaco in una morsa. Dissi soltanto: “Ciao, questo è per te” e, senza quasi guardarla in faccia, mi allontanai a passo spedito con le ginocchia tremolanti. Come ebbi modo di realizzare in seguito, non interpretò benissimo il gesto e si tenne a debita distanza per tutti i giorni a seguire.

A pensarci oggi mi viene da ridere, ma al tempo fu un gran colpo al mio morale: indipendentemente dai miei propositi, io volevo suscitare impressioni positive. Gli intoppi capitano, comunque, e il meglio che si possa fare è rialzarsi dopo ogni caduta, così iniziai a cogliere ogni occasione possibile per distribuire le minicard; le cose iniziarono ad ingranare. Ci misi un po’ a contrastare l’istinto alla fuga che mi assaliva ogni qualvolta ne consegnavo una, ma gradualmente la tensione si assottigliava ed io apparivo sempre più sicuro negli atteggiamenti, imparando anche a sfruttare i momenti di imbarazzo in cui venivo scambiato per un qualche addetto al volantinaggio.

Reazioni memorabili? Ricordo sempre con piacere quel bacio (sulla guancia, purtroppo) che ha costretto un amico — scettico riguardo il mio progetto — ad offrirmi una birra. Tuttavia se dovessi scegliere il momento più bello, penso che indicherei quella volta in cui lo consegnai ad una ragazza seduta in metropolitana.

Avrà avuto vent’anni o poco più, ma i suoi zigomi piuttosto alti le conferivano un’aria da signora, più che da ragazza. Dai lucenti capelli corvini tenuti a caschetto, una ciocca si era separata per ricadere proprio davanti ai suoi grandi occhi marroni, ma lei pareva non farci caso, probabilmente era assorta nei suoi pensieri; era visibilmente triste. Le allungai un biglietto senza proferire parola, mantenendo lo sguardo fisso su di lei e accennando un sorriso. Lei lo prese e lo fissò per qualche secondo. I suoi occhi si illuminarono ed un sorriso stupendo le rischiarò in viso. Il suo “grazie”, più mimato con le labbra che effettivamente pronunciato, è ciò che più di ogni altra cosa mi fa dire: “ne è valsa la pena”.

Questa esperienza mi ha fatto crescere molto, insegnandomi ad affrontare i confronti con altre persone e — soprattutto — ad osservare. C’è un abisso tra il camminare per strada con le auricolari inforcate e il farlo guardandosi attorno, notando le persone e le loro azioni: si trova dello schifo, è vero, ma anche delle perle che non ci si aspetterebbe mai, ed è a quelle che bisogna dare valore. Non sono andato a spasso per le vie milanesi gettando minicard a destra e a manca durante la Settimana della Moda, sono andato a cercare tra la folla quelle ragazze che — per aspetto o atteggiamento — riuscivano a smuovermi qualcosa dentro. Bisogna allenarsi a filtrare del segnale in un marasma di rumore.

Se qualcuno di voi, leggendo questo post, si dovesse per caso sentire tentato di fare qualcosa di simile, lo incoraggio a rubare la mia idea senza troppi complimenti. Molti non capiranno e alcuni vi prenderanno in giro; è successo anche a me e so che non fa affatto piacere. Pensate però ad una cosa: come si può arrivare in posti nuovi, se si continua a percorrere le solite strade?

Buona fortuna.


  1. Ho scoperto pochi giorni fa che questa sensazione ha un nome: sonder