Una folle teoria

Oggi voglio esporre una teoria. È qualcosa di difficile da comunicare a parole, qualcosa che ho percepito più a livello di istinto (magari aiutato da pratiche meditative e ruminazioni filosofiche), ma che paradossalmente è poco intuitivo da capire se spiegato con un discorso.

Il concetto base è: togliendo ogni tipo di sovrastruttura, siamo tutti perfettamente uguali — talvolta persino indistinguibili — e non ha alcun senso affermare di essere superiori o inferiori a qualcun altro; a ben vedere anche il termine “uguale” è vuoto di significato: sarebbe più corretto dire che siamo “sintonizzati”. Non c’è alcuna reale distinzione tra me, te, ed un tizio a caso preso dalla strada.

Mi rendo conto di dover spiegare quello che intendo ed è qui che sorgono le difficoltà. Siamo tutti esseri umani accomunati da una quotidiana sofferenza e da una perpetua ricerca della felicità, spesso (secondo me erroneamente) identificata con il piacere. Ogni emozione che provo la stanno provando, l’hanno provata, o la possono provare anche tutti gli altri abitanti di questo pianeta; siamo tutti — chi più chi meno — insicuri riguardo a qualcosa e abbiamo tutti paura. In un modo o nell’altro siamo tutti connessi.1

Notando questo, è cambiato lievemente il mio modo di guardare il mondo: adesso ogni persona la vedo come una copia di me, un mio riflesso. Ognuno vive la propria vita e ha un mondo nella propria testa, ha sofferenze e preoccupazioni a me ignote ed io non posso sapere cosa realmente significhino le loro azioni: persino quelle che sembrano non lasciare adito a dubbi, possono sottendere molteplici significati. Quando ho fretta e sono scontroso perché tutti mi sembrano un ostacolo, automaticamente realizzo che altri, nella mia situazione, potrebbero vedere me allo stesso modo. Quando mi sento stuzzicato, ferito o deriso e reagisco con un moto d’orgoglio, rischiando di sembrare arrogante o saccente, mi ricordo di varie persone che in passato ho etichettato in quel modo. Tutto d’un tratto mi sembra miope il categorizzare le persone, perché è come se stessi giudicando (e condannando) me stesso.

A tal proposito può essere utile accennare che tanto per il Buddhismo, quanto per la moderna psicologia comportamentale, le persone non sono altro che degli specchi per il soggetto preso in analisi: “la mia reazione a te è una percezione di me”.2 Molto spesso quando non ci va a genio una persona è perché — a livello inconscio — la vediamo incarnare aspetti o comportamenti che noi stessi abbiamo, ma che non accettiamo, che ci danno fastidio, oppure che mettono in risalto ciò che noi percepiamo come una nostra mancanza.

Tornando alla mia teoria, ho questa sensazione che tutte le azioni siano incidentali. Una storia taoista parla di due pescatori sulla loro barca, in mezzo ad un lago, che cercano di prendere qualche pesce. Ad un certo punto un’altra imbarcazione li sperona; i due, dopo essere riusciti a non farsi catapultare in acqua, si voltano rabbiosi, pronti ad inveire contro il responsabile, ma vedono che la barca che li ha colpiti è vuota: è stata trasportata alla deriva dalla corrente. La loro rabbia scompare.

Non ho mai capito il senso di questo racconto fino a tempi recenti: ciascuno di noi è una barca senza conducente, non ha senso arrabbiarsi o prendere le azioni altrui come attacchi personali.3 Siamo in preda al nostro Ego4 e ci vediamo come i protagonisti assoluti di un immaginario film personale; secondo la nostra ottica, nulla ci può andare storto, eppure molte cose non vanno come noi vogliamo e non riusciamo ad accettarlo intimamente. Questo essere così ego-centrati è una caratteristica comune a tutti, e rende la maggior parte delle discussioni dei dialoghi tra sordi; siamo talmente avvolti dalla nostra prospettiva che non comprendiamo quella altrui e finiamo con il criticare atteggiamenti che, a ben vedere, sono gli stessi nostri.

Segue un piccolo aneddoto. Meno di un mese fa stavo riflettendo sulla totale mancanza di empatia di alcune persone che conosco, di quanto si prendano troppo sul serio senza mettersi mai in discussione, e mi sono chiesto come mai non si sforzino un po’ di vedere le cose con una prospettiva simile alla mia. Poi mi sono reso conto di avere — in pratica — detto: “Quanto sono arroganti! Come mai non possono essere tutti umili come me?!”, e sono scoppiato a ridere per il paradosso.

Ovviamente non si può essere agnelli in un mondo di lupi. Non è di alcuna utilità l’accettare a braccia aperte gli egoismi altrui e cercare di liberarsi dai propri, ma sarebbe auspicabile riuscire a mantenere una prospettiva più ampia, di modo da affrontare le avversità in modo sereno. A tal proposito è stata una sorpresa la mia reazione ad un evento di qualche giorno fa: ho frainteso le intenzioni di un automobilista e ho rischiato l’incidente; quando ho visto il tizio mandarmi a quel paese, assieme al mio parentado di facili costumi, per tutta risposta mi è scappata una risata. Poi ho proseguito, dimenticandomi subito dell’accaduto. Soltanto sei mesi fa, avrei lasciato che quell’incomprensione e quegli insulti mi rovinassero l’umore per tutta la successiva ora: d’altronde non ho avuto cattive intenzioni e sono una brava persona. Ogni persona si reputa una brava persona.

Concludo parafrasando un sùtra Buddhista: io non sono superiore a nessuno, anche se a volte mi sorprendo a pensarlo; non sono inferiore; non sono in alcun modo speciale, e — probabilmente — non sono nemmeno unico.


  1. A quanto ne so, questa asserzione è concorde con varie filosofie orientali e con la meccanica quantistica: non vi è reale distinzione tra soggetto e oggetto, in quanto tutto ciò che esiste è espressione di un unico continuum energetico. Non ho tuttavia approfondito, quindi non mi lancio in speculazioni eccessive; cercherò di dedicarmi al più presto ad interessanti letture ed astruse teorie
  2. Ovviamente se la persona in questione ha un atteggiamento aggressivo o lesivo nei nostri confronti, non c’è bisogno di ricorrere ad elaborate meta-analisi, per capire la fonte del nostro disagio: Occam docet. 
  3. Lungi da me il sollevare gli individui dalla responsabilità di ciò che fanno. Voglio solo dire che, da un punto di vista allargato, ogni azione è una reazione a qualcos’altro; essenzialmente noi non siamo le nostre azioni. In modo analogo, sebbene possiamo dire di possedere determinate qualità, noi non siamo quelle qualità. 
  4. Mi rendo conto che per poter parlare di qualcosa è necessario prima definirlo, ma purtroppo il campo delle teorie psico-filosofiche su cosa sia effettivamente l’Ego è un guazzabuglio indistricabile. Non sto parlando dell’Ego psicologico definito da Freud, ma di quello concepito dalle filosofie orientali come un filtro che, pur essendo utile alla nostra sopravvivenza nella quotidianità, ci impedisce di vedere nitidamente ciò che abbiamo davanti agli occhi. Un giorno raccoglierò dati e scriverò un post a riguardo, per il momento prego i lettori di perdonare questa mia leggerezza espositiva.