Quando il politico deve fare il papà

Da poco tempo ci sono state delle elezioni politiche che hanno portato ad uno scenario anomalo di grande incertezza, da allora è molto comune trovarsi a confrontare le proprie opinioni con amici e conoscenti, finanche a scatenare veri e propri flame su quella fantastica macchina dell’anonimato che è Internet.

Qualche giorno fa, durante uno dei sopracitati scambi di opinione, il mio interlocutore se n’è uscito con un parallelismo illuminante per dimostrare il rapporto filiale che il popolo italiano ha con i capi politici dei principali partiti; in poche parole, molto pochi esprimono un voto ragionato, la maggior parte segue l’istinto, i sentimenti. Ovviamente non mi sono segnato le sue esatte parole, quindi dovrò fare una ricostruzione basata sui miei ricordi, tuttavia per correttezza metto quanto segue come citazione.

Se ci pensi possiamo vedere tutti i politici come figure paterne.

Monti è quel padre severo che esige obbedienza, vuole il bene dei suoi figli, ma non si lascia andare in slanci emotivi. Più propenso ad usare il bastone che la carota, impronta un percorso educativo piuttosto duro che darà i suoi frutti in un discorso a lungo termine, ma, al momento, ogni sua azione viene vista come un sopruso. Un padre del genere è facile che spinga i figli alla ribellione, piuttosto che all’obbedienza.

Poi abbiamo Grillo, quel papà “alternativo” e contro il “sistema”, quel papà un po’ hippie che si fa le canne con i propri figli, che quando arriva un brutto voto in pagella, invece di punire i pargoli, se la prende coi professori che non capiscono nulla. È molto facile che un genitore del genere venga venga apprezzato, che diventi complice, perché quasi un amico.

Bersani è un padre buono, giusto, ma un po’ assente; se gli chiedi una bicicletta nuova te la compra anche, ma per il resto se ne sta per i cavoli suoi, senza dare fastidio. Sicuramente ciò dà molta libertà ai figli, ma non si tratta di una figura accattivante o carismatica: è difficile che venga stimato.

Infine c’è Berlusconi. Un papà simpatico, eterno giovane che cerca sempre complicità con i propri figli. È quello che sfoggia un sorriso da marpione e dice: «Ma allora, come va con la ragazzina che ti piace tanto? Te la sei già trombata?!»; oppure, in caso di un brutto voto nel compito in classe di matematica se ne esce con: «Mannaggia, non potevi studiare un po’ di più?! Vabbé, senti, io te lo firmo, ma non lo dire alla mamma! E ora dai, andiamo a farci una partita a Gran Turismo che ho voglia di asfaltarti!». Insomma, un genitore che piace, in genere, ma soltanto perché coccola i vizi, non perché sia effettivamente un buon padre.

Francamente trovo questa analisi sorprendentemente azzeccata e mi ha fatto fare una riflessione non tanto sui politici, quanto sul popolo che li vota. Se i vari leader sono figure paterne, ciò implica che gli Italiani, di fatto, sono dei bambini — o, meglio, adolescenti — che traggono valutazioni impulsive basate esclusivamente sui loro sentimenti del momento. Per anni abbiamo avuto Berlusconi, abbiamo riso alle sue battute sconce e celebrato l’esaltazione dei vizi, poi ci siamo resi conto che fare le cicale tutto l’anno non porta a nulla di buono e siamo corsi (o siamo stati spinti) a ripararci sotto il rigore del tecnico Monti. Ovviamente lacrime e sangue non vengono accettate di buon grado, poco importa se alla lunga i sacrifici pagano: i bambini non hanno pazienza e gli adolescenti anelano alla ribellione! Quale miglior scelta, dunque, di “papà Beppe”, quando si è delusi ed incazzati con il sistema?

Ovviamente sono tutte semplificazioni, ma non credo possano essere definite banalizzazioni. Ormai che la maggioranza degli Italiani voti con la “pancia” è un dato di fatto, ma a questo punto è lecito chiedersi: come guidare proficuamente un paese composto da una mandria di bambini?