My two cents

Ci sono momenti in cui hai una buona idea per scrivere un post, allora ti prende una voglia incredibile di darti da fare per tradurre i tuoi pensieri in caratteri scritti; poi però ti blocchi. Vuoi dire talmente tanto che finisci per non dire nulla, ogni cosa che metti nero su bianco ti sembra confusa, senza capo ne coda, non sai come iniziare né come finire. In casi come questi la cosa migliore è accantonare il progetto per un po’ e cercare di schiarirsi le idee, fare un po’ di decluttering mentale.

Quella che ho appena narrato è la storia di questo post. Volevo scrivere un articolo che riprendesse e analizzasse un concetto che sviscero forse troppo spesso, su questo blog come su Twitter e nella vita quotidiana: il qui ed ora. È buffo, se in questo momento fingessi di essere il me stesso di quattro anni fa e leggessi queste righe che sto scrivendo, così come alcuni miei post passati, probabilmente bollerei tutto come “boiate new age” e deriderei l’autore definendolo un “hippie recidivo”.

È strano come tutto sia in continuo cambiamento, come io stesso sia cambiato profondamente dopo la fine della mia carriera liceale, al punto da diventare quasi un’altra persona. Oscar Wilde disse: «La maggior parte delle persone, sono altre persone», questo perché ogni interazione che abbiamo con i nostri simili modifica leggermente la nostra identità, noi “prendiamo in prestito” — spesso inconsapevolmente — caratteristiche di altri individui, le facciamo nostre, siamo un blocco di argilla che viene costantemente modellato da agenti esterni. Ovviamente è possibile dirigere questo processo in modo attivo — previa presa di coscienza — ma questo è un argomento che forse tratterò in un post a parte.

Come ho detto all’inizio, avevo accantonato questo post in attesa di tempi migliori. Capita poi che Simone Fagini mi chieda un parere su questo suo sfogo e decido di sviare lievemente il discorso sul tema da lui trattato (che non è poi tanto dissimile, anzi). Premettendo comunque che tutto è opinione e ciò che penso io, può non adattarsi ad altre situazioni.

Sono sempre stato un tipo abbastanza direzionato verso il futuro.
Ora non dico non sia una cosa positiva, ma in alcuni casi lo sono stato troppo, a tal punto da non godermi affatto il presente, sempre intento a programmare e programmare e logorarmi da dentro quando non riuscivo a capire cosa davvero volessi o cosa dovessi fare.

Questo essere “futurista” mi ha dato spesso e volentieri motivazioni personali, che, nonostante tutto, penso siano le più forti e più efficaci.

Credo che questo sia un problema comune a molti giovani, persino Fabrizio Rinaldi vi ha dedicato una riflessione sul suo blog. Avendo citato in apertura il qui ed ora , dovrebbe essere chiara la mia posizione in merito, la pratica però è sempre più complicata della teoria: io ho 22 anni, vedo l’università come uno scoglio, non so cosa fare della mia vita e questo pensiero mi terrorizza. Viviamo in una società pragmatica, cinica, orientata al futuro, al profitto e al guadagno; la società della produzione al fine del consumo.

La chiave di tutto però è leggibile tra le righe, quando Simone scrive: «non riuscivo a capire cosa davvero volessi o cosa dovessi fare». Ho anche io riflettuto molto e ho fatto esperienza picchiando la testa più volte, per concludere che — in linea generale — non devi fare nulla che non vuoi fare. Sei il solo a vivere la tua vita e finché non hai la responsabilità di una famiglia che dipende da te, sei libero di stabilire le tue priorità ed i tuoi obiettivi.

Già, gli obiettivi. Riescono allo stesso tempo a dar senso alla tua esistenza e a fartela sprecare. Ho riportato una citazione, tempo fa, ma spendo ancora due parole: gli obiettivi hanno senso soltanto se non li puoi raggiungere. Una volta che ottieni ciò per cui ti sei tanto battuto, nulla ha più davvero senso, la tua conquista non sembra avere poi tanto valore; subentra la noia e allora devi porti un altro obiettivo. Da un lato questo atteggiamento mentale proprio di ogni persona, ci spinge a dare il meglio di noi stessi e a migliorarci costantemente, dall’altro ci fa vivere costantemente nel futuro: il presente non è altro che un tassello da mettere nella posizione giusta per poter raggiungere lo scopo prefissato. È vivere, questo?

Non so dare una risposta, sono uno dei tanti viandanti che cerca di farsi strada nella foresta della vita, ma credo che sia meglio tendere all’equilibrio, invece che agli eccessi. Il primo passo è capire le proprie inclinazioni, i propri gusti e cercare di rimanere su quel percorso, di modo da spendere ogni secondo al meglio. E non vivere a cento all’ora: la vita scorre già abbastanza velocemente, meglio procedere un po’ più con calma e godersi il paesaggio, piuttosto che arrivare in fretta a destinazione, stufarsi del posto ed avere rimpianti.

In questi giorni causa emicrania, ho avuto molto tempo per me stesso, per pensarci.
Ancora una volta mi sono isolato e ho analizzato, come sono solito fare, ogni minimo particolare, ogni causa, ogni conseguenza, ogni sviluppo.

L’autoanalisi — a patto di essere sinceri con sé stessi al 100% — è una gran cosa, ma dedicarsi alle riflessioni per troppo tempo, isolandosi dal mondo, non porta a nulla di buono. Ci sono passato anche io e spesso sono caduto nella trappola dell’auto-commiserazione, è molto meglio agire e tuffarsi in quelle cose (tutti ne abbiamo almeno una) che fanno ardere la nostra fiamma interiore. Perché, alla fine, ciò che davvero è importante è essere coerenti con sé stessi.

Ci sono cose che ci vengono insegnate e prendiamo per buone perché le nozioni giungono da autorità più grandi di noi, che sanno più cose e dunque senz’altro sapranno cosa è giusto e cosa sbagliato. Tralasciando la fallacità intrinseca di questo ragionamento, possiamo dire di aver realmente capito e imparato qualcosa soltanto quando l’abbiamo sperimentato in prima persona, non c’è migliore insegnante dell’esperienza. Allo stesso modo, Simone, non prendere per buone le mie verità, scopri le tue.

Voglio concludere con due citazioni (non si è capito che mi piacciono?), tratte da due film che hanno avuto un grande impatto su di me.

Rilassati. Non sentirti in colpa se non sai cosa fare della tua vita: le persone più interessanti che conosco a 22 anni non sapevano che fare della loro vita, i quarantenni più interessanti che conosco ancora non lo sanno.

The Big Kahuna

Personaggio 1
L’elemento narrativo esiste nel cinema perché esiste un tempo, così come nella musica, però tu non pensi prima alla canzone e poi crei la canzone, la canzone è una creazione che nasce da quel momento; ed è questo quello che il film ha: quel momento, che è un momento sacro. Come lo è questo momento, insomma, è sacro, ma noi ce ne andiamo in giro come se non lo fosse, come se alcuni momenti fossero sacri e altri no, esatto? Ma momenti come questi sono sacri e di fatto il film ce li fa vedere, ce li inquadra, ci fa dire: «Ah, questo momento allora è sacro!». E così, sacro, sacro, sacro, uno dopo l’altro; ma chi può vivere così, dicendo sempre: «Cavolo, è sacro!»? Se ora dovessi guardarti e renderti sacro, non so…forse smetterei di parlare.

Personaggio 2
O ti godresti il momento. Il momento è sacro.

Waking Life