Luci ed ombre sulla pirateria informatica

È inutile girarci intorno: se hai una minima familiarità con la Rete, sei (o sei stato) anche un pirata informatico. Io non mi posso considerare un nativo digitale, il mio approccio ad Internet è stato tentennante — anche a causa di genitori non molto lungimiranti riguardo le nuove tecnologie; eppure, una volta connesso al Grande Web, il piratare contenuti coperti da copyright mi sembrò subito un’azione naturale, tant’è che non mi resi conto fin da subito della sua illegalità.

A legittimare questo comportamento è anche il modo stesso in cui queste pratiche vengono trattate — totalmente alla luce del sole — e l’inefficacia delle punizioni inflitte dalle autorità, le quali non possono quasi mai rintracciare i singoli utenti. L’anonimato di Internet aiuta molto anche in questo senso.

Come su ogni argomento di peso, anche sulla pirateria sono state svolte battaglie ideologiche, nelle quali le grandi major discografiche ricoprivano il ruolo di mostri assetati di soldi e i gestori di tracker torrent e siti di hosting, di immacolati paladini della libertà. Ovviamente non è così.

O meglio, che le major siano assetate di denaro ed estremamente conservartici riguardo i metodi di distribuzione della musica è un dato di fatto, ma rimangono comunque delle vittime. Non c’è nulla di nobile nell’appropriazione indebita e i pirati non guardano in faccia a nessuno: si procurano illegalmente la suite di Adobe, tanto quanto lavori di programmatori indipendenti (spesso con prezzi irrisori). Lo so perché io stesso ho agito e agisco così, sebbene stia lentamente invertendo il processo.

Come sempre il problema risiede nella mentalità, si è abituati a spendere per oggetti tangibili, non per agglomerati di byte. È uno scoglio psicologico non da poco, pensare di dover spendere una discreta somma di denaro per qualcosa che non potrai mai percepire realmente con i tuoi cinque sensi, quando hai la possibilità di averlo gratis senza correre alcun rischio. Si arriva quindi al paradosso di chi spende 500€ per uno smartphone e poi si procura illegalmente applicazioni dal costo medio di 80cent.

Dunque io mi trovo a condannare la pirateria, pur essendone ancora “schiavo”; si tratta quasi di una dipendenza e non escludo che lo sia davvero. Eppure ci sono forme di condivisione illegale che approvo e approverò sempre. Grazie ad Internet posso trovare un infinità di telefilm o programmi televisivi americani e inglesi che probabilmente non arriveranno mai in Italia, o ci metteranno anni a venire trasmessi. Non parlo solo dell’ultima stagione di Breaking Bad, ma anche di programmi divulgativi della BBC estremamente interessanti e di qualità eccelsa. Da questo punto di vista, vedo la pirateria come una risorsa per diffondere la cultura, difatti in questo caso mi piace più parlare di “condivisione”.

Vorrei proprio spendere due parole su questo punto: la condivisione. Peer-to-peer (p2p) è tradizionalmente il termine più associato alla pirateria informatica, sebbene non sia la stessa cosa. I programmi p2p consentono lo scambio di file tra utenti e questo non è di per sé illegale, infatti la varie proposte fatte in passato di bloccare questo protocollo di scambio sono tutte naufragate.

Negli ultimi anni è però nato il fenomeno del file hosting, ossia diversi servizi web mettevano a disposizione di utenti uno spazio sui loro server per fare l’upload di file e poterli scaricare in un secondo momento tramite un link appositamente generato. In molti videro questo nuovo sistema come il successore del p2p, visto che gli utenti potevano scaricare tutto a velocità di banda, senza limitazioni legate al numero di persone che condividevano i file. Infatti non si tratta più di condivisione, ma di vendita.

Parlo di vendita perché gli hoster incoraggiano l’utenza a sottoscrivere degli abbonamenti per avere determinati vantaggi (download più veloci e spazio illimitato). Non solo: determinati gestori premiano gli uploader con un sistema pay-per-download che associa un punteggio per ogni download che proviene dai loro link; tali punteggi sono convertibili in denaro. Fino a qualche tempo fa un uploader molto famoso presso i forum dedicati, arrivava a guadagnare sui 400€ giornalieri, cifra affatto trascurabile.

Ricapitolando: in origine abbiamo una comunità di utenti che scambia file per il solo gusto di condividere, da questa nasce una diramazione di persone che pagano degli hoster per servizi che li portano ad acquisire materiale coperto da copyright non regolarmente acquistato e, addirittura, coloro che forniscono materiale hanno la possibilità di arricchirsi compiendo un attività illecita.

Che la pirateria faccia comodo agli utenti è vero, ma è meglio non vestire da ideologia ciò che, ormai, è diventato business.