Innamorarsi di una Mela

Sono stato per anni un fanboy Apple, qualcuno direbbe che lo sono ancora (e potrebbe avere ragione), ma di sicuro non mi comporto più come qualche anno fa. C’è stato un periodo in cui ero il classico “evangelista”, colui che si faceva portavoce del Verbo di Steve Jobs, conducendo crociate personali contro Microsoft e, più tardi, Android. A ripensarci adesso, un po’ me ne vergogno.

Di quel forte sentimento però è rimasto qualcosa: la trepidazione per un Keynote, l’istintivo risentimento verso chi critica Apple per partito preso, la felicità durante l’unboxing di un nuovo prodotto. Ad un osservatore esterno tutto questo può sembrare eccessivo e non avrebbe problemi ad etichettare come “pazzoidi” coloro che si accampano fuori dagli Apple Store la sera prima del lancio di un nuovo prodotto. Prima di sfoderare il classico (e legittimo) argomento: “ognuno ha le proprie passioni ed è libero di seguirle”, vorrei riportare qualche passaggio del libro ‘The Naked Brain‘.

Come esempio dell’impatto emotivo che hanno su di noi i marchi commerciali, si prenda in considerazione il “Pepsi Challenge”. Se i partecipanti non erano a consocenza di quale bevanda veniva loro offerta, basandosi unicamente sul gusto, tendevano a preferire Pepsi a Coca Cola. Quando invece venivano resi consapevoli della marca, la scelta cadeva su Coca Cola.

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Le persone rimangono fedeli ai brand che suscitano in loro sentimenti di fiducia ed affetto. Stimolare l’attaccamento emotivo dei clienti è un modo migliore per predirne le abitudini di acquisto, piuttosto che puntare soltanto sulla loro soddisfazione: potenzialmente si può fare in modo di mantenere quei clienti per tutta la loro vita.

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Sono davvero “dipendente” da Coca Cola, penne Delta e quaderni Claire-fontaine — per nominare giusto tre prodotti che ho comprato in quella che altri potrebbero definire come una quantità eccessiva? Le neuroscienze stanno suggerendo che, visto il ruolo avuto dallo stesso neurotrasmettitore (dopamina) nella dipendenza dalle droghe e nell’acquisto “eccessivo” di prodotti legati da un determinato marchio, un qualche grado di legame emotivo, se non proprio di dipendenza, è presente.

Il motivo per cui Apple ha così tanti “accoliti” tra chi acquista i suoi prodotti è che — soprattuto in passato — si è data molto da fare nel creare un legame affettivo con la propria clientela; al punto che molti (di noi) si identificano così tanto con il logo della Mela, da vedere qualsiasi critica all’azienda come un attacco personale. Come Dale Carnegie insegna, in larga misura le critiche servono solo a fare arroccare i loro destinatari nelle proprie posizioni, da qui il comun sentire che gli utenti Apple sono “lobotomizzati” ed è impossibile ragionarci.

A questo punto i fan del Robottino Verde che stanno leggendo — se mai ce ne fossero — staranno ridacchiando sotto i baffi, ma farebbero meglio a non sentirsi superiori, visto che sono anch’essi vittime dello stesso processo. In una società consumistica quale è la nostra, è praticamente impossibile non sviluppare preferenze per determinati brand e, conseguentemente, diventa molto difficile non sviluppare un legame emotivo. Nel mondo tecnologico subentra anche la passione personale, quindi è facile assistere a feroci diatribe, ma il “Pepsi Challenge” dimostra che il discorso è applicabile a qualsiasi brand.

C’è chi veste solo Benetton, chi è convinto che ‘Barilla’ sia sinonimo di “pasta”, chi non vuole sentire nomi di automobili se queste sono prodotte al di fuori del confine teutonico. Questa affezione, magari inzialmente motivata da un’effettiva qualità superiore, trascende ogni tipo di logica e spesso non viene compresa fino in fondo nemmeno dagli interessati. In fondo è noto che l’amore non veda i difetti, ma questo è ancora più grave se l’oggetto del sentimento è un azienda a cui noi diamo i nostri soldi e verso cui dovremmo sempre essere critici e pretendere il meglio.

Come al solito, se non possiamo — e non possiamo — evitare di subire certi meccanismi, è bene cercare di esserne consapevoli, di modo da coglierli in castagna quando scattano.


Aggiornamento

Fabrizio Rinaldi mi fa gentilmente notare che il “Pepsi Challenge” è risultato fallace, in quanto la Pepsi viene preferita al primo sorso a causa della maggiore percentuale di zucchero, mentre la Coca Cola risulta migliore in un periodo di tempo più dilatato. Ovviamente ciò non inficia la bontà della tesi esposta, visti i numerosi test effettuati con l’ausilio di fMRI in cui si è riscontrata una maggiore attività cerebrale nelle regioni correlate a pensiero, elaborazione emotiva e memoria, quando nelle attività svolte i soggetti si trovavano a confrontarsi con la loro marca preferita.

Non ho riportato l’intero passaggio nella citazione per non appesantire il discorso.