In balia del comfort: bloccati in una prigione dorata

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L’immagine che vedete è stata pubblicata due giorni fa su Reddit con il titolo “Tutta questa tecnologia ci sta facendo diventare asociali”; chiaramente è una provocazione nei confronti di chi demonizza smartphone e affini, accusandoli di star deteriorando le relazioni interpersonali: a quanto sembra, si punta sempre il dito contro un capro espiatorio.

La provocazione è stata colta e rilanciata da Diego Petrucci, che ha anche pubblicato un post sul suo blog, con l’intento di fare una disamina etica sul quando sia lecito isolarsi usando dispositivi vari come scudo, e quando tale atteggiamento sia addirittura sinonimo di inciviltà. Sull’argomento nello specifico non ho molto da aggiungere, ho già abbozzato il mio pensiero in un vecchio post e ho poi cercato, in un altro ancora, di porre l’accento sul caso particolare dei social network.

Qualche giorno fa, mi è capitato di rivedere una vecchia intervista fatta a Louis C.K. da Conan O’Brien, in cui il comico spiega il motivo per cui non ha intenzione di dare alle proprie figlie uno smartphone, illustrando la sua visione della tecnologia: un modo per riempire il vuoto che coviamo dentro di noi, a discapito della nostra capacità di provare empatia. Per chi non sapesse di cosa sto parlando, metto il video di seguito (niente sottotitoli, mi spiace).

Mi trovo pienamente d’accordo con Louis, ma sono convinto che non abbia centrato davvero il problema. Appurato che Internet e gadget vari altro non sono che strumenti dei quali si può fare l’uso che si vuole, come mai la tendenza principale a risultarne è la snaturazione delle comunicazioni interpresonali? Cosa porta l’Uomo — animale sociale per eccellenza — a preferire interazioni surrogate? L’incapacità di affrontare i propri demoni? In parte potrebbe essere così, ma credo sia la conseguenza di qualcos’altro: siamo in balia del comfort.

Scrivo di seguito una citazione tratta dal film “La mia cena con André”:

Voglio dire, se non hai una coperta elettrica, e il tuo appartamento è freddo, e hai bisogno di mettere un’altra coperta o prendere vestiti dall’armadio per impilarli sopra le lenzuola, solo allora saprai che fa freddo. E quella consapevolezza dà il via ad una serie di realizzazioni: hai compassione per l…beh, la persona a tuo fianco ha freddo? Ci sono altre persone al mondo che hanno freddo? Che notte gelida! Mi piace il freddo, Dio mio, non me n’ero mai reso conto, io non voglio una coperta elettrica, è divertente avere freddo, mi posso accoccolare alla persona che ho a fianco perché fa freddo! Sperimenti cose di ogni genere. Ma ecco che accendi la tua coperta elettrica ed è come prendere un tranquillante, come venire lobotomizzati guardando la TV. Entri nel mondo dei sogni. Cioè, cosa pensi ci succeda, Wally, a vivere in un ambiente in cui qualcosa di così intenso e vasto, come le stagioni o l’inverno, non ha alcun effetto su di noi? Siamo animali, dopo tutto. Cosa significa quello che ci sta succedendo? Io penso voglia dire che, invece di vivere sotto il Sole, la Luna, il cielo e le stelle, stiamo vivendo in un mondo di fantasia creato da noi stessi.
[…]
Wally, non capisci che il comfort può essere pericoloso? A te piace essere a tuo agio, e anche a me piace. Ma il comfort può cullarti in una tranquillità pericolosa. Voglio dire, mia madre conosceva una donna, Lady Hatfield, che era una delle persone più ricche al mondo, e morì di inedia perché il suo unico nutrimento era costituito da carne di pollo. Semplicemente, le piaceva il pollo e quindi mangiava solo quello, e il suo corpo stava deperendo, ma lei non se ne accorgeva perché era felice nel suo continuare a mangiare pollo; fino a che non morì! Vedi, onestamente penso che oggi siamo un po’ tutti come Lady Hatfield: abbiamo un’adorabile e comoda vita, con le nostre coperte elettriche e la nostra carne di pollo, e nel frattempo deperiamo perché siamo così disconnessi dalla realtà che non ne traiamo alcun reale sostentamento. Perché non vediamo il mondo. Non vediamo noi stessi. Non vediamo in che modo le nostre azioni hanno conseguenze sugli altri.

Le interazioni sociali hanno sempre una componente di stress e a volte è semplicemente più comodo farsi scudo con qualcosa, che sia una rivista, uno smartphone o delle auricolari. Queste barriere, erette per rendere rassicurante un ambiente potenzialmente ostile, sono al contempo fonti di piacere e spesso oggetti di desiderio; capezzoli. Siamo così immersi nel comfort da non essere più in grado di sopportare un minimo disagio, come quello dato dallo stare per qualche tempo soli: fuggiamo dalla noia, fuggiamo da noi stessi e fuggiamo anche dagli altri, perché una chat non equivale ad una conversazione ed una emoji non è un feedback emotivo.1

Non è mia intenzione demonizzare il comfort: deriva dal progresso, e il progresso è sempre positivo. Tuttavia non si può ottenere nulla senza perdere qualcosa, credo questa sia una regola universale e che quindi si debba cercare di essere consapevoli degli aspetti negativi innescati dalle nostre conquiste, di modo da poterli arginare. Inoltre è bene ricordare che la crescita — personale, così come dell’umanità — ha origine da momenti sgradevoli. Probabilmente è meglio guardare al disagio come un compagno di avventure (o al limite uno strumento), piuttosto che fuggire per lasciarsi cullare da un benessere illusorio.


  1. E se metto il punto a fine frase, non vuol dire che sono arrabbiato, diamine!