Leggendo un articolo del Post, mi sono trovato davanti questa frase tratta dalla biografia di Steve Jobs:
Gli insegnai che, se si agisce come se si fosse in grado di fare qualcosa, quel qualcosa si realizza. Gli dissi: fa’ finta di avere il controllo assoluto della situazione e la gente penserà che tu ce l’abbia davvero.
Benché non abbia alcun dubbio sulla validità della seconda affermazione, la frase complessiva mi ha lasciato comunque un po’ perplesso: il celebre “fake it till you make it” non mi ha mai convinto fino in fondo. Credo ci sia una differenza percepibile tra chi ostenta sicurezza (e quindi non ne ha) e chi invece ha imparato a padrongeggiare una determinata abilità, a tal proposito ricordo battuta recitata da Kevin Spacey in “The Big Kahuna”.
Ci sono persone a questo mondo, Bob, che hanno un’aria molto solenne mentre fanno quello che devono fare. E lo sai perché? Perché non sanno quello che fanno. Perché se sai quello che fai, non devi avere l’aria di saperlo, ti viene naturale, mi segui?
Ho sempre adottato questa visione contrapponendola al mantra “fake it till you make it”, ma solo oggi mi sono reso conto che non sono concetti antitetici, bensì gli estremi di un continuum. Esiste una metafora confuciana secondo la quale l’Uomo è simile ad un blocco di materiale grezzo, è necessario intagliarlo sapientemente affinché divenga un manufatto pregiato; Confucio prescriveva di osservare scrupolosamente dei riti volti a coltivare nell’animo umano disposizioni atte a renderlo un “Gentiluomo” (jūnzǐ;君子),1 una persona in grado di raggiungere lo stato della “non azione” (wŭwēi;无为), cioè di comportarsi automaticamente nel modo più appropriato a seconda del contesto. La spontaneità, la sicurezza in sé stessi, è una componente chiave nel successo (comunque lo si voglia definire) e fingerla finché non la si ottiene per davvero è una modalità efficace: la plasticità del nostro cervello fa dell’abitudine una forza molto potente.
A questo punto mi sorge però una domanda: perché con me non è così? Quelle poche volte che ho provato ad applicare quella massima è andato tutto in malora, ma credo ora di avere intuito la causa. Ho putroppo una tendenza al perfezionismo, quindi per me il solo pensiero di dover fingere un “controllo assoluto della situazione” è sufficente a farmi salire l’ansia; le mie aspettative tendono ad essere decisamente troppo elevate. Il metodo che ho deciso di adottare per conseguire lo stesso risultato (spontaneità/sicurezza) è apparentemente l’opposto: rinunciare ad ogni forma di controllo per accettare ogni aspetto della situazione che sto vivendo. È difficile? Molto. Ci riesco sempre? No. Però col tempo divento sempre più bravo ed è un approccio che, assieme ad alcuni accorgimenti, ha dato i suoi frutti.
Ci sono quindi molti sentieri per la vetta della montagna. In effetti, tornando un attimo alle Cento scuole di pensiero, quelli confuciani non erano gli unici strumenti per raggiungere il wŭwēi; se dovessi fare un analogia, il metodo che ho fatto mio è più affine al Daoismo2 rispetto che al Confucianesimo. A guardar più da vicino, comunque, le due modalità non sono affatto così distanti, facendo anzi leva sullo stesso principio: l’azione consapevole. Chi finge sicurezza allena la propria mente a creare comfort nelle situazioni di disagio, chi sceglie invece di abbassare le difese si abitua a liberarsi di tensioni inutili e permette alla sicurezza di emergere da sé; l’atteggiamento mentale è tuttavia subordinato all’agire, è l’azione ripetuta che modella il cervello dando forma alla nostra identità.
Non bisogna perdere tempo nel discutere su quale metodo sia il migliore, ciascuno scelga il più adatto a sé e si metta al lavoro: per imparare a nuotare bisogna entrare in acqua.
- Confucio non aveva alcuna nozione di neuroscienza, eppure aveva intuito in modo sorprendentemente accurato il ruolo di cold e hot cognition, capendo anche come sfruttare la seconda a suo vantaggio. ↩
- A voler essere pignoli, mi sono lasciato influenzare dal Daoismo filosofico di Zhuāngzǐ e dalle profonde intuizioni di Mèngzǐ riguardo la natura umana. ↩