Donald Trump è colpa nostra

Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America.

Non mi lancio in nessun tipo di analisi, francamente non ne ho voglia, tanto nei prossimi giorni vi troverete bombardati dal parere di personaggi illustri e non. Scrivo soltanto per comunicare il mio disgusto verso i responsabili di questo declino dell’Occidente che sembra destinato a non arrestarsi tanto presto: noi.

Con “noi” mi riferisco al frammento demografico cui gioco forza mi trovo ad appartenere: quello composto da persone mediamente colte, provenienti dall’ormai quasi estinta classe media, promotrici di valori liberali; persone che hanno fatto il liceo (magari il classico) con l’idea poi di iscriversi all’università, laurearsi, ottenere un lavoro rispettabile ed entrare a fare parte della “classe dirigente”. Le stesse persone che ora si sdegnano per la Brexit e Trump, invocando un ritorno al passato, ad un’oligarchia aristocratica priva del poco conveniente suffragio universale. Già, perché il problema è la “gggente”, mentre noi siamo virtuosi, vero? Non abbiamo capito un cazzo.

Ci siamo dati pacche sulle spalle nelle nostre torri d’avorio, ridendo del “popolino” e dei loro ridicoli rappresentanti, ignorando e male interpretando un disagio che ha continuato a crescere e bollando i suoi sfoghi come “ignoranza”. Certo, l’ignoranza è un fattore, ma è da stupidi puntare il dito verso la fiammella invece che occuparsi di chi ci sta soffiando sopra. No, non sto parlando di Salvini o Grillo (il loro ruolo viene dopo), sto parlando delle passate generazioni che, spreco dopo spreco, hanno rotto le finestre del condominio dove questa gente abita, fregandosene delle lamentele e deridendo apertamente chi invece — (forse) per opportunismo — ha mostrato di dar loro ascolto.

A furia di tirare, la corda si spezza e si finisce con la schiena nel fango. I cosiddetti (e spesso auto-proclamati) intellettuali non sono più visti come guide autorevoli, ma come antagonisti; nel migliore dei casi come una manica di egoisti boriosi, incapaci di prevedere la crisi economica1 o anche solo di avere una stima affidabile dei risultati elettorali poche ore prima del voto. La reazione di chi ha perso ogni fiducia nello status quo mira a sovvertirlo, dando nuovo impeto a tutti quei movimenti che contrastano i valori cari all’élite, dalla scienza alla democrazia.

La rabbia è molto facile da incanalare, se si toccano i punti giusti: è un meccanismo vecchissimo esemplificato molto bene da Freud nel saggio “Psicologia delle masse e analisi dell’Io”.

La folla giunge subito agli estremi. Un accenno di sospetto si trasforma immediatamente in indiscutibile evidenza. Una semplice antipatia diviene subito odio feroce. Portata a tutti gli eccessi, la folla è influenzata solo da eccitazioni esasperate. Chiunque voglia agire su di essa, non ha bisogno di dare ai propri argomenti un carattere logico: deve presentare immagini dai colori più stridenti, esagerare, ripetere incessantemente la stessa cosa.2

Non c’è da stupirsi di Trump, Grillo o Salvini, ma soprattutto non è loro la colpa: sono solo sintomi, manifestazioni di un profondo disagio di cui noi siamo concausa. Possiamo fare autocritica e cercare di riunificare la frattura che si è creata all’interno del nostro (ma non solo) Paese, oppure possiamo fare come al solito e puntare il dito contro la proverbiale “casalinga di Voghera”.


In questo mio sfogo ho ricondotto l’elezioni di Trump allo scenario italiano perché è quello a me più familiare. Senza dubbio si tratta di una forzatura, ma non così importante come potrebbe sembrare, dal momento che l’intero Occidente è piuttosto omogeneo sotto alcuni punti di vista. A riprova di ciò metto qui di seguito un paio di link ad articoli che trattano le stesse tematiche dalla prospettiva statunitense (entrambi in Inglese, mi spiace).

  • How Half Of America Lost Its F**king Mind: il giornalista che scrive, cresciuto in uno Stato rurale, conservatore e ultra-cristiano, prova a dare una spiegazione del sucesso elettorale di Trump fornendo una prospettiva diversa dal solito.
  • The Intellectual Yet Idiot: il filosofo Nassim Nicholas Taleb critica aspramente gli odierni intellettuali, evidenziando in modo un po’ comico le contraddizioni insite nel loro modo di pensare.

  1. Nel novembre 2008 la Regina Elisabetta II chiese ai docenti di economia della London School of Economics come mai non avessero previsto il sopraggiungere della crisi. Dopo mesi di consultazioni risposero con una lettera aperta, dicendo di aver perso di vista il cosiddetto “rischio sistemico” e di essersi abbandonati ad una “psicologia del diniego”. Fonte: D. Harvey, L’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza, Feltrinelli, Milano, 2011. 
  2. S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io, Bollati Boringhieri, Torino, 1978.