Close enough is perfect

Quando ho aperto questo blog avevo molte poche pretese: tutto ciò che mi interessava era dare voce alle mie riflessioni ed esercitarmi nella scrittura. Non avendo in mente di monetizzare, né di scrivere per un pubblico, ero davvero libero di trattare qualsiasi argomento in qualsiasi modo volessi, senza preoccuparmi troppo di mantenere standard qualitativi.

Come spesso accade, spontaneità e libertà creativa sono state premiate e queste pagine hanno iniziato a raccogliere visitatori; pochi, certo, ma abbastanza affezionati da scrivermi talvolta mail per avere uno scambio privato con me, o semplicemente farmi i complimenti per qualcosa che avevo scritto. Rendersi conto di avere un pubblico — per quanto piccolo — è estremamente gratificante, ma mette una leggera pressione riguardo il creare contenuti di qualità; ciò di per sé è un bene, ma bisogna stare attenti a non finire nella trappola del perfezionismo. Inutile dire che alla fine ci sono caduto con tutte le scarpe.

C’è stato un preciso momento in cui la voglia di dare di più e la consapevolezza di poterlo fare mi hanno spinto verso una sorta di paralisi, ossia la pubblicazione di quello che forse è il miglior pezzo che abbia mai scritto: L’origine della morale. Stendere quel post è stato come comporre un puzzle, ha richiesto ore tra leggere e visionare materiale, ragionare, nonché ovviamente scrivere. L’intero processo è risultato per me estremamente gratificante e ha trasformato in parte la mia visione del mondo. Mi ha anche dato una ulteriore conferma della complessità e della interdipendenza dei fenomeni umani con cui facciamo i conti tutti i giorni, suscitando in me il desiderio di saperne di più. Insomma: è un qualcosa che vorrei ripetere con altri argomenti che mi stanno a cuore.

Qua però subentrano i due elementi che mi hanno messo con le spalle al muro. Anzitutto, la stesura di pezzi simili richiede tempo, tempo che è sempre più difficile reperire. In secondo luogo, ci sarà sempre qualcosa che si ignora, qualche informazione pertinente (magari decisiva) di cui si giunge a conoscenza in un secondo momento. Qua si insinua il perfezionismo: non posso iniziare a scrivere se non ho tutti i pezzi, se non ho letto tutti i libri nella mia reading-list, se non ho fatto sufficienti esperienze e così via. Il risultato di questa ricerca del post perfetto è che si finisce per non scrivere nulla perché tutte le buone idee vengono messe in standby, nell’attesa di avere un quadro completo dell’argomento.

Questa situazione, molto simile (se non identica) alla paralisi da analisi, mi ha riportato alla mente il libro “Improv Wisdom: Don’t Prepare, Just Show Up” di Patricia Ryan Madson, dove ad un certo punto si fa riferimento al motto di una compagnia, cambiato da “Perfect is close enough” a “Close enough is perfect”.

Il paradosso è che quando ci sforizamo di dare il massimo il risultato è spesso deludente. Un clima più sano è quello in cui ci diamo il permesso di essere mediocri, perché ci libera dalla pressione. […] Quando ti sforzi di fare del tuo meglio, il risultato sulla tua performance è spesso quello di azzopparla. In ogni scenario c’è sempre qualcosa da perdere. Questo può aumentare la tensione e portare a stati di ansia.

[…]

Per Samuel, un analista finanziario, questa massima fu la sua salvezza. “Mi sono logorato per anni lavorando come un pazzo, passando notti in bianco, per fare in modo che i miei rapporti raggiungessero standard che ora capisco essere semplicemente ossessivi. Mi sembrava di non combinare mai nulla perchè cercavo sempre di raggiungere la perfezione. Il tuo suggerimento riguardo il permettermi di essere mediocre è stato una rivelazione. Ora semplicemente svolgo il mio lavoro senza torturarmi fino alla morte e i risultati sono davvero buoni. Sono più produttivo adesso rispetto a prima”.

Il mio post sull’origine della morale è invecchiato sorprendentemente bene, ma se dovessi scriverlo oggi, aggiungerei ulteriori nozioni che ho acquisito più di recente, e probabilmente cambierei del tutto la conclusione. Se due anni fa fossi stato attanagliato dal perfezionismo, mi sarei trovato iper-consapevole delle mie lacune e forse quel pezzo non avrebbe mai visto la luce.

D’ora in poi, se ne avrò voglia, mi permetterò di scrivere post “a caldo“ senza farmi troppi problemi riguardo standard di qualità; al limite potrò sempre scrivere in seguito post integrativi o rinuire il corpus di informazioni raccolte in un pezzo composito. Ho già parlato brevemente di come per me la scrittura sia praticamente un’esigenza, ebbene: non ha senso nutrirsi quotidianamente a pane ed acqua in attesa del giorno in cui finalmente si potrà cenare all’Osteria Francescana.

Close enough is perfect

My running wheel

Mi sono finalmente deciso ad aprire un blog secondario, in lingua inglese. Si chiama “My running wheel” e verrà aggiornato molto meno di frequente rispetto a “Pagine passate”, non ha un tema fisso ed il suo unico motivo di esistere è la mia voglia di impratichirmi nell’Inglese scritto. Qualora qualcuno di voi lettori1 decidesse di buttare un’occhio ogni tanto e darmi feedback sullo stile di scrittura, oltre che sui contenuti, mi farebbe davvero piacere.


  1. Quando ho aperto “Pagine passate” mi aspettavo di avere sì e no 5 lettori, non immaginavo che i miei vari sproloqui potessero interessare a così tante persone. Mi fa ovviamente molto piacere e vi ringrazio davvero per i complimenti che ogni tanto mi fate. 

Come un fascio di pulviscolo

L’ispirazione è una brutta bestia. Non so come sia nelle altre forme d’arte, ma nella scrittura la immagino come un fascio di luce. Hai presente il pulviscolo? Quell’insieme di polverine, sospese in aria, che ci circondano praticamente in ogni momento della nostra vita, ma che risultano visibili solo quando un fascio di luce irrompe nel buio o nella penombra. A questo punto eccole, quelle particelle che paiono danzare nel chiarore e, finalmente, si rivelano.

La luce è l’ispirazione, il pulviscolo è l’insieme delle nostre idee e delle nostre capacità. E il buio? Il buio è la nostra mente. Non credo che si possa avere mai il controllo totale di ciò che abbiamo nella scatola cranica: il cervello è probabilmente una macchina perfetta, ma il nostro io, beh, parliamone!

L’ispirazione, sì, credo che appartenga a noi, ma venga attivata da elementi esterni: un fiore, una canzone, una frase, una donna. Le nostre muse. È come se, per una strana reazione chimica, qualcuno accendesse l’interruttore di una torcia, illuminando ciò che è sempre stato lì, davanti ai nostri occhi, ma di cui non abbiamo mai avuto coscienza.

La cosa curiosa è che non abbiamo alcun controllo di questa parte di noi. Io volevo scrivere un post sulle donne, qualcosa che fosse anche un po’ poetico e la mia mente, come risultato, è rimasta bianca. Anzi, buia.

Dato che oramai avevo già aperto ‘Feathers’ ho deciso di sfogarmi un po’ nei confronti dell’ispirazione. Chissà quando tornerò a vedere il pulviscolo. Spero solo di avere la possibilità di gettare tutto nero su bianco, è un peccato sprecare gli attimi di luce.