Angurie e Buddismo

Ciascuna delle tre principali tradizioni buddiste adopera diversi metodi per giungere alla stessa esperienza.

Poniamo, per esempio, che tu non sappia cos’è un’anguria perché non ne hai mai mangiata una prima. Se chiedessi ad un Buddista Hinayana di insegnarti cos’è un’anguria, ti verrebbe detto che tutto parte da un seme, un piccolo seme nero piantato nel terreno. Poi questo seme germoglia e diventa una piantina che cresce cone un rampicante e si ricopre di fiorellini. Da questi fiori inizia a crescere un frutto, che diventa sempre più grande, fino a trasformarsi in un’anguria matura. Ad un certo punto qualcuno la mangia, oppure si decompone, e i semi tornano nel terreno. Il ciclo ricomincia da capo: seme, germoglio, rampicante, bocciolo, fiore, frutto; seme, germoglio, rampicante, bocciolo, fiore, frutto. Questo tipo di insegnamento si focalizza sul tempo, o comunque su qualcosa che cambia nel tempo.

Il Buddismo Mahayana invece non si preoccupa molto del tempo, possiamo dire che la sua preoccupazione sia lo spazio o “forma”. Quindi se chiedessi ad un Buddista Mahayana cos’è un’anguria, potrebbe risponderti: “Dunque, un’anguria ha una buccia verde, con striature di verde chiaro e scuro. Può essere piuttosto pesante. Se sei in Occidente, un’anguria assomiglia un po’ ad un pallone da football, mente in Corea ha la forma di un pallone da calcio. L’anguria è dura all’esterno e morbida all’interno. Quando è matura, il suo interno è rosso e contiene piccoli semi neri. La parte rossa è dolce, la parte bianca non lo è più di tanto, mentre la parte verte è un po’ aspra”. Il Buddismo Mahayana si interessa della forma, di quella che è la realtà dell’anguria. Un Buddista Mahayana potrebbe anche spiegare come quelle caratteristiche — colore, peso, sapore e forma — siano tutte vacue.

Lo Zen a uno stile di insegnamento molto semplice e diretto. Zen significa che se tu vuoi capire che cosa sia un’anguria, devi prenderne una, tagliarla con un coltello e metterne in bocca una fetta. BOOM! La tua esperienza! Parole, discorsi, libri e insegnamenti non possono trasmettere questo tipo di conoscenza. Anche se leggessi un centinaio di libri sulle angurie, o ascoltassi centinaia di lezioni, tutto ciò non potrà erudirti in misura maggiore di quanto possa fare un singolo assaggio. “Cos’è un’anguria?” Boom! “Ahhh! Quella è un’anguria!”. Ecco il motivo per cui l’insegnamento zen è descritto come “Indipendente da parole e discorsi, una speciale trasmissione al di fuori dei Sutra che punta diretta alla mente; guarda la tua vera natura, diventa Buddha”. Comprendere cosa sia un’anguria non ha bisogno di parole e discorsi, anche un bambino lo può capire! Questa è la via dello Zen.

— Seung Sahn in The Compass Of Zen

Riprogramma La Tua Mente

Circa un anno fa, Fabrizio Rinaldi mi contattò per propormi una collaborazione: si trattava di un post sulla pratica meditativa, strutturato come una chiacchierata tra una persona che voleva saperne di più (lui) ed una con un po’ di esperienza in merito (io).

Avendo già in mente di scrivere un post completo ed aggiornato qua su Pagine Passate, accetto con piacere. Purtroppo, dopo una fase iniziale ricca di entusiasmo, vari impegni fanno arenare il progetto che rimane allo stadio di bozza per mesi e mesi, rischiando di finire nel dimenticatoio. Fortunatamente verso fine 2014 decidiamo di riprenderlo in mano per ultimare i lavori e poter poi avviarci verso la pubblicazione.

Finalmente ci siamo: oggi ha visto la luce su Medium “Riprogramma la tua mente”, quello che credo sia il post in lingua italiana più completo ed informativo sulla meditazione. Ringrazio Fabrizio per avermi proposto questa “chiacchierata virtuale”, per le sue domande stimolanti e per l’impegno dimostrato in corso d’opera. Una menzione speciale va anche al nostro illustratore, Dario Crisafulli, a cui si deve la bellissima immagine introduttiva.

Speriamo di aver fatto cosa gradita, buona lettura!

Insight

Circa un mese fa ho avuto un’esperienza interessante. Dopo una notte con poche ore di sonno e una mattinata abbastanza intensa, mi trovai nel primo pomeriggio con le palpebre troppo pesanti per essere mantenute aperte; decisi quindi di puntare il timer del telefono a 30 minuti e farmi un sonnellino. Una volta addormentato venni catapultato nel mondo dei sogni come mi capita sempre, ma questa volta fu peculiare perché, ad un certo punto, mi accorsi di stare sognando e presi coscienza di me. Era il mio secondo sogno lucido di sempre e immediatamente cercai di controllare l’ambiente in cui mi trovavo, ma senza particolare successo: percepii uno strano formicolio lungo il corpo, mentre tutto ciò che avevo attorno sfumava in una nebbia grigia, lasciandomi a fluttuare nel vuoto, in preda alle vertigini. A quel punto mi svegliai. Procedetti a stropicciarmi gli occhi facendo qualche commento confuso sulla strana esperienza appena avuta, dopodiché mi guardai un po’ intorno, perplesso: diversi oggetti nella mia stanza si trovavano fuori posto. Ebbi appena il tempo di fare qualche commento sulla stranezza ed ecco che, all’improvviso, mi svegliai sul serio.

Diverse volte, in passato, ho avuto falsi-risvegli, talvolta anche concatenati in quella che sembrava una spirale senza fine, facendomi provare un opprimente senso d’angoscia, ma quella volta fu peculiare: non so se fosse una conseguenza del sogno lucido, ma ancora oggi non riesco a trovare differenze tra la qualità di quell’esperienza e la realtà cosciente. Tutto ciò mi fa venire in mente un famoso passo del Zhuangzi:

Una volta, Zhuangzi sognò di essere una farfalla. Era una farfalla che volteggiava liberamente, appagata della propria condizione. Non sapeva di essere Zhuangzi. All’improvviso si svegliò e si accorse di essere Zhuangzi, con la sua forma. Non poteva dire se Zhuangzi avesse sognato di essere una farfalla, o se una farfalla stesse sognando di essere Zhuangzi. Tra Zhuangzi e la farfalla dev’esserci una distinzione. Questo è ciò che si dice la trasformazione degli esseri.

Un paio di ore dopo quel singolare evento mi misi al volante. Per la testa avevo svariati pensieri e per tenerli a distanza provai ad osservarli in un modo simile a quanto faccio durante le mie sedute di meditazione, ma dato che il contenuto di alcuni mi incuriosiva, li seguii a distanza per una manciata di secondi, invece di lasciarli semplicemente sfumare. D’un tratto qualcosa lungo la strada catturò la mia piena attenzione, facendomi passare in un istante dall’osservare i pensieri all’essere concentrato sulla guida; quella transizione fu talmente fluida da costituire una rivelazione: vidi chiaramente, per la prima volta, che non esistono confini tra il mio “mondo interiore” ed il mondo esterno, è tutto un costante flusso di sensazioni, le quali — cosa molto importante — sono separate da me.

Collegai all’istante anche l’esperienza onirica avuta qualche ora prima e avvertii una sottile angoscia, mi sentii spiazzato, come se le fondamenta della mia stessa coscienza si fossero incrinate. Un brivido mi percorse la schiena al pensiero di diventare lo spettatore di un incontrollato flusso di sensazioni, incapace di distinguere la loro provenienza o persino percepire i confini del mio corpo; qualcosa di analogo a ciò che si trovò a sperimentare Jill Bolte Taylor quando ebbe un ictus, insomma.

Come spesso accade, questo tipo di paure si sono rivelate presto delle paranoie prive di fondamento. Ad oggi fatico a ricordare le sensazioni che mi dette quell’esperienza (gli anglofoni la chiamerebbero “insight”), ma avverto senza ombra di dubbio che qualcosa è cambiato nel rapporto tra me e le mie percezioni. Ogni volta che mi trovo assillato da pensieri negativi o sono in situazioni che mi provocano disagio, riconosco intuitivamente che quello che sto provando non fa parte della mia essenza; come conseguenza di questa nuova ottica mi trovo a vivere le situazioni con più leggerezza e anche quando il disagio è particolarmente forte e vicino a me, non provo più come un tempo il desiderio di fuggire o scrollarmelo di dosso, poiché tutto questo non è parte di me. Certo, ci sono alti e bassi, ma quell’esperienza ha innescato un cambiamento profondo.

Ci sono molte (troppe) cose che non so della mia coscienza, mi sento eccitato al pensiero di avere ancora svariate decadi per approfondire l’argomento.

Buddhism and Modern Psychology

Nel corso degli ultimi due mesi, ho avuto il grande piacere di seguire il corso online ‘Buddhism and Modern Psychology’ tenuto da Robert Wright, professore alla Princeton University ed autore di apprezzati libri sul tema della psicologia evolutiva.

Ho trovato ogni lezione illuminante su vari aspetti e ho particolarmente apprezzato le “office hours”, piccole sessioni extra in cui Wright provava a rispondere alle principali perplessità degli utenti riguardo i temi affrontati. Il docente ha saputo trattare in modo molto chiaro e lineare una materia complessa e vastissima, tentando di capire se le intuizioni buddiste riguardo la mente umana siano attendibili dal punto di vista della moderna psicologia.

Personalmente consiglio il corso a chiunque fosse anche solo lontanamente interessato a queste tematiche. Purtroppo non so se verrà riproposto in futuro, ma per vostra fortuna (e per mia utilità) ho deciso di caricare tutte le lezioni, i relativi sottotitoli e alcuni interessanti extra, su una cartella in MEGA.

Spero di aver fatto una cosa gradita e spero che, al termine della visione, condividerete con me l’ansiosa attesa del libro che Robert Wright sta scrivendo sull’argomento.

Abbassa le difese

Giorno dopo giorno incappiamo in situazioni ingiuste, e pensiamo che l’unico modo per affrontarle sia fare resistenza. Le armi del combattimento sono mentali: ci armiamo con la rabbia, le opinioni, l’ipocrisia, che indossiamo come un giubbotto antiproiettile. Lo riteniamo il giusto modo di vivere. Ma tutto ciò che otteniamo è di allargare la separazione [tra noi e la realtà], di alimentare la rabbia e di rendere infelici noi stessi e gli altri.

[…]

Finché non ci inchiniamo e sopportiamo la sofferenza, senza fare opposizione, ma vivendola, essendola, non potremo conoscere la vita. Ciò non significa passività o inazione, ma l’azione che sgorga dalla totale accettazione. Anche usare la parola “accettazione” non va troppo bene; meglio dire semplicemente che sgorga dall’essere la sofferenza. Non si tratta di accettare una cosa diversa da sé, né di difendersi da qualcosa. L’apertura totale, la totale vulnerabilità alla vita è (sorpresa!) l’unico modo soddisfacente di vivere.

— Charlotte Joko Beck in “Zen Quotidiano: Amore e Lavoro

Tic-Tac

Provate per un attimo a tornare con la mente alla vostra infanzia, non importa se sia stata felice o meno, sono quasi sicuro che ognuno di voi aveva un rapporto diverso con il Tempo, rispetto a quanto avviene ora. Io ricordo che a casa di mia nonna, nel primo pomeriggio, aspettavo le quattro per poter vedere i cartoni pomeridiani (qualcuno ricorda Solletico?) e — non sapendo leggere le ore — chiedevo quanto mancasse. Spesso mi sentivo rispondere: «È presto, Jacopo, ancora un’oretta» e mi rattristavo parecchio perché sapevo che l’attesa era lunga. Quando pensavo a ciò che avevo fatto solo un anno prima mi sembrava che di mezzo ci fosse un’era.

Eccomi adesso, ventituenne, a notare che quattro ore di studio passano sempre troppo in fretta rispetto a quanto mi sia necessario; ad evocare ricordi dell’estate passata e percepire quegli eventi come accaduti pochi mesi prima. Com’è possibile?! Sono sempre stato convinto fosse principalmente colpa di una percezione del tempo alterata durante la fase della crescita, unita magari al rapporto “vita rimasta-vita vissuta”. In sostanza qualcosa di inevitabile — ed inevitabilmente triste — che andrebbe notato per poter prendere piena coscienza del fatto che la vita non è mai lunga abbastanza.

Nel 2012 è però successo qualcosa che mi ha fatto vedere la nostra percezione del tempo sotto un’altra luce, nonché mi ha causato un piccolo periodo di “crisi esistenziale”. Durante le vacanze estive sono andato in Croazia con un gruppo di amici e, sebbene inizialmente non ne fossi proprio entusiasta, si è invece rivelata una bella esperienza. Non ho intenzione di fare il resoconto della vacanza, mi limito ad accennare che tra nuotate intense, furti di birra ed improbabili approcci con turiste tedesche, ce la siamo passata piuttosto bene. Il tutto è durato una settimana e, nonostante il luogo comune voglia che il tempo passi più rapidamente quando ci si diverte, l’ho vissuta in modo intenso, assaporando ogni singolo giorno.

Torno a casa e riprendo contatto con la realtà: ho un esame a tre settimane e devo fiondarmi sui libri, non c’è tempo da perdere! Ed ecco che, con mio grande sconcerto, in un battito di ciglia passano sette giorni. 168 ore della mia vita se ne sono andate senza che quasi io me ne rendessi conto, lasciandomi la disarmante sensazione di non aver vissuto. Come mai la stessa identica porzione di tempo che ho trascorso in Croazia l’ho percepita in modo così diverso, una volta rientrato a casa?

Sembrerà banale, ma tutto ciò mi ha fatto entrare per un po’ in crisi, mi ha fatto chiedere: «Non sarà che sto buttando la mia vita?». Mi è venuta incontro un’infografica che ha stimolato la mia curiosità riguardo l’argomento in questione e mi ha fatto fare un po’ di ricerche. Purtroppo non ho modo di recuperarla, quindi esprimerò il concetto con le parole di un gentile utente di Reddit che ha rinfrescato la mia memoria su questo tema.

La percezione del trascorrere del tempo dipende da quante volte prestiamo attenzione a qualcosa e siamo consapevoli di farlo!

Può essere fantastico oppure un supplizio, dipende dalle circostanze.

Percezione del tempo come “lento”:
Sei in classe e controlli l’orologio appeso al muro…10 minuti alla campanella. Ogni…3…secondi, ti rendi conto di quanto sembri un’eternità. Vuoi che il tempo passi più in fretta, vorresti che lo facesse, quindi continui a controllare, controlli ancora ed ancora! In quei 10 minuti avrai fatto 200 osservazioni e se ogni volta che guardi l’orologio dici a te stesso: «Ma è così LENTO!» ecco che sono 400 osservazioni ed è persino peggio!

[…]

Percezione del tempo come “veloce”:
Ora pensa a quando sei tutto il giorno con la testa tra le nuvole, senza notare nulla, oppure quando passi tutta la giornata mezzo addormentato nel letto, o a guardare repliche di una serie TV che conosci da cima a fondo. All’improvviso il giorno è trascorso.

Oppure quando stai guidando lungo una strada che hai fatto centinaia di volte — e all’improvviso sei a casa e pensi: «Ma che cavolo! Dormivo mentre ero al volante?!»

Durante l’infanzia per tutto il tempo ci sono cose che vale la pena notare. Tutto ciò che hai dinnanzi è nuovo e — dunque — importante.

Quando cresci smetti di notare ciò che hai visto ormai centinaia di volte: non è nuovo, non è importante e quindi non merita la tua attenzione. È normale e giusto.

Come adulto ti devi concentrare su ciò che davvero merita attenzione. Le semplici sensazioni/suoni/stimoli visivi potrebbero non essere compresi nel novero, a meno che non siano estremi. Ma in genere ciò che è nuovo/importante per un adulto è ad un livello più astratto (il tempo rallenta per persone che hanno lavori in cui ogni minuto presenta una nuova — ed importante — sfida da superare).

Come nota a parte, due persone potrebbero vivere entrambe fino ad 80 anni, ma il modo in cui vivono la vita può essere molto diverso. Magari uno dei due nota cose tutto il tempo — è un inventore che compie centinaia di osservazioni e ha una valanga di idee al giorno. L’altro è in continuazione fra i meandri della sua mente e non si preoccupa di ricordare nulla di ciò che gli accade. Potresti trovarti con una persona che ha vissuto il suo tempo come se fossero 200 anni di vita e l’altra che si e no ha fatto esperienze per 20.1

Nel mio caso, in Croazia ho compiuto diverse sfide a livello personale per cercare di uscire dalla mia comfort zone e ho cercato di provare cose nuove; di contro, tornato a casa, mi sono lasciato assorbire nella routine, dalla meccanicità di eventi che posso predire ad occhi chiusi.

Uno dei fattori che mi ha spinto verso la mindfulness è proprio questo. Molto spesso, intrappolati come siamo nelle nostre routine quotidiane, arriviamo a dare per scontate cose che non lo sono per nulla e a credere di conoscere ciò di cui in realtà non abbiamo scalfito che la superficie.

Non c’è un giorno uguale ad un altro ed il tempo che vi lasciate alle spalle non tornerà mai più indietro. Sono uno che predica bene e razzola male, ma il mio consiglio è di vivere ogni giorno al massimo, provando cose nuove per il gusto di provarle (e se laggente dice che “non ha senso” è una ragione in più per fare ciò che pensate). Viaggiate! Sfidante le convenzioni che non sapete nemmeno voi perché seguite! Fate, di tanto in tanto, cose che vi spaventa fare. Cosa avete da perdere? Non potete vivere in eterno, ma potete vivere intensamente.


  1. “In the end, it’s not the years in your life that count. It’s the life in your years.” — Abraham Lincoln 

Mindfulness e meditazione

Chi mi segue su Twitter saprà certamente che di recente ho iniziato a cimentarmi nella meditazione con risultati che, a mio modo di vedere, sono piuttosto significativi. In molti mi hanno chiesto di scrivere qualcosa a riguardo, ma ad essere sincero non so proprio come trattare l’argomento. Da un lato, con un mese di pratica all’attivo, non mi posso certo dire un esperto in materia (indipendentemente dalle letture da me fatte), dall’altro, volendo trattare come si deve l’argomento, sarebbe appropriato scrivere un vero e proprio libro, un manuale, non di certo un approssimativo articolo su un blog. Alla luce di queste considerazioni, ho deciso di scrivere le mie prime impressioni, congiuntamente ad una serie di consigli per principianti che mi sono stati davvero utili. Cercherò di essere il più chiaro e lineare possibile nei paragrafi seguenti, qualora non dovessi riuscire nell’intento, vi prego di scusarmi.

Il mio inizio

La mia love-story con la pratica meditativa ha avuto un periodo di gestazione piuttosto lungo. Infatti iniziai ad avvicinarmi alla tematica nel febbraio del 2012, fagocitando una valanga di articoli in lingua inglese e frequentando assiduamente la sezione dedicata su Reddit. Nonostante la buona volonta e gli sforzi — che poi avrei scoperto essere la causa principale delle mie difficoltà — le mie sedute risultavano più fonte di frustrazione che di relax; ero ossessionato dalla postura, non riuscivo a fermare i pensieri, credevo di sbagliare a respirare e, come se non bastasse, il mio cuore aveva la tendenza ad accelerare i battiti durante la meditazione, entrando in conflitto con il il ritmo del respiro e rendendo irritante tutto il processo. Non ci si deve meravigliare se abbandonai la pratica dopo poco più di un mese, in corrispondenza con un periodo di grande stress (sono una persona piuttosto ansiosa).

Nonostante questo fallimento, il mio percorso di self-improvement continuò per vie traverse, tanto che mi sento di considerare il 2012 come uno dei più significativi a livello di crescita personale. Ovviamente in tal senso Internet ha assunto — come sempre — un ruolo chiave, in particolare ho scoperto in Reddit una fonte inesauribile di stimoli. È proprio grazie a quest’ultimo che si è riaccesa la mia curiosità per la meditazione: in tutti i thread che aprivo veniva indicata come abitudine da sviluppare assolutamente per trarre il meglio dalla propria vita. Possibile che avessi sbagliato qualcosa io?

Dopo aver scoperto il progetto HeadSpace, mi sono accorto di essere incappato nei più comuni errori dei principianti ed è da questi che vi voglio mettere in guardia.

L’approccio mentale

Non importa quanto sia facile l’attività che vi apprestate a svolgere: se non avete il corretto atteggiamento, vi sembrerà sempre di scalare l’Everest in costume da bagno.

Siamo abituati ad essere immersi in mille impegni quotidiani: dobbiamo lavorare, studiare, allenarci, uscire con gli amici, ecc. La meditazione è dunque una delle tante cose da aggiungere alla to-do list della giornata, eppure è proprio questo il primo errore: meditare non vuol dire “fare”. La meditazione non ha nulla a che vedere con l’azione, ma con la consapevolezza. Nel momento in cui iniziate la seduta, tutto ciò che dovete fare è essere consapevoli di voi stessi, di ogni emozione, sensazione (piacevole e/o fastidiosa), suono, odore, sapore, pensiero e così via.

Altro errore molto comune è cercare di soffocare i pensieri, di avere la mente “vuota”. Mi spiace deludere chi davvero ci credeva, ma non è possibile fermare i pensieri, ciò che è possibile, anzi, auspicabile fare è permettere a questi di fluire liberamente ed andarsene così come sono venuti. Non lo ripeterò mai abbastanza: tutto ha un inizio ed una fine, perché pensieri ed emozioni dovrebbero fare eccezione? La tendenza che purtroppo si ha (o almeno io ho) è di identificarsi con ciò che si pensa. Quando sorge un pensiero negativo l’atteggiamento naturale è quello di combatterlo, cacciarlo, con il solo risultato che viene rafforzato e produce un effetto domino, tanto che sembrerà di avere un vespaio nella scatola cranica. A volte mi capita persino di notare il sorgere ed il passare di un pensiero negativo e, in una sorta di impeto masochistico, trovarmi a “rincorrerlo” per poterlo analizzare a dovere. Quando invece la mente produce qualcosa di felice, appagante, la tendenza è quella di indugiarvi, di trarne quanto più piacere possibile e finirne inevitabilmente dipendenti; ma dal momento che nulla è eterno, la sofferenza finale è scontata. Questa tendenza è gravissima perché, in ultima analisi, i pensieri non sono nemmeno qualcosa di reale.

Come fare, dunque, durante la meditazione? Vi posso assicurare che la mente non se ne starà quieta, non importa se produrrà immagini, suoni o monologhi interiori (quanto li odio questi!), non c’è nulla che possiate fare per annullarli. Dovete notare la loro presenza e lasciarli andare, spostando la vostra attenzione sul respiro. Non c’è praticamente nulla che possiate sbagliare, la meditazione non può essere giusta o sbagliata: o state meditando (allenando la concentrazione) o non stante meditando. Tutto ciò che dovete fare è allenare la consapevolezza, la concetrazione e lasciare che accada tutto ciò che si sta manifestando; non dovete cercare di controllare nulla perché il solo risultato sarà generare stress e rendere l’intera esperienza molto frustrante. È stato questo il mio errore, un anno fa.

La posizione

Per quanto possa essere affascinante l’idea di meditare nella posizione del loto, seduti su di un cuscino posto sul pavimento, non credo sia la soluzione migliore per un occidentale. Non che sia impossibile, sia chiaro, semplicemente è poco conforme alle nostre abitudini e io ho trovato parecchio difficile mantenere la schiena eretta — elemento molto importante.

Il mio consiglio è utilizzare una sedia da salotto, o da scrivania a patto che non sia girevole. Descrivere a parole la posizione ideale in cui sedersi è piuttosto complicato, quindi vi lascio un video esplicativo(https://www.youtube.com/watch?v=GUAaeYYOIRc). È in inglese, ma si capisce molto bene e spiega in modo mille volte migliore rispetto a come potrei fare io. Riguardo l’abbigliamento, più comodi siete, meglio è; per questo io prediligo il pigiama.

La pratica

Un errore che si tende sempre a fare è di sedersi e concentrarsi subito sul respiro, per poi lamentarsi che la mente non collabora e non ci si riesce a rilassare. Per poter meditare occorre prima fare entrare la mente in sintonia con il corpo.

Il metodo che ho sperimentato sulla mia pelle consiste nel prendersi il tempo per diventare consapevoli delle sensazioni che si prova, percepire il contatto del corpo sulla sedia, dei piedi sul pavimento, avvertire i suoni attrono. Poi procedere con una “scansione” del proprio corpo, come se si volesse costruire un’immagine mentale dello stesso, e solo dopo tutti questi passaggi, porre la propria attenzione al respiro.

Respirare è un’azione completamente naturale, eppure quando la si nota essa diventa meno automatica, si può provare la tentazione di controllarla; ecco, questo lo si deve evitare. Sebbene la respirazione fisiologicamente corretta in uno stato di relax sia quella diaframmatica, durante la meditazione dovete semplicemente osservarvi ed essere consapevoli del movimento e di dove avviene, senza cercare di pilotarlo. Dovete prima di tutto capire come siete, non cercare di essere come vorreste. Questo credo sia un suggerimento valido in molti ambiti, non solo nella meditazione.

Durante tutti questi passaggi, ogni volta che vi accorgete di esservi lasciati catturare da un pensiero, prendetene nota e tornate alla pratica, senza frustrarvi, senza rimproverarvi, ripetetevi che è tutto ok e andate avanti. Può essere che vi ritroviate a provare emozioni o vari fastidi fisici, personalmente in questi casi io cerco di porre la mia attenzione sul disagio e indagarlo con un genuino senso di curiosità. Molto spesso mi sono ritrovato a dare un nome a determinate emozioni che provavo, ma che non mi risultavano subito chiaramente identificabili; a volte è successo che sono semplicemente sparite. Nel caso dei pruriti questa tecnica di analisi è bastata per farli scomparire nel nulla.

Mindfulness

Mindfulness è un termine spesso usato come sinonimo di meditazione e, sebbene non sia esattamente così, ne rappresenta comunque un aspetto chiave. La traduzione più adeguata nella lingua italiana è “consapevolezza”. Praticare la mindfulness è qualcosa che va oltre i 10-20 minuti al giorno dedicati alla meditazione, comporta infatti essere consapevoli di tutto ciò che fate durante la giornata, senza lasciarvi “rapire” dai vostri pensieri (che comunque rimangono presenti); notare ogni sensazione provata ed indagarla sospendendo ogni giudizio.

La mindfulness, diversamente dalla meditazione, la si può applicare in qualsiasi contesto, in qualsiasi momento della giornata. Personalmente la utilizzo spesso mentre cammino, mi apro ad ogni stimolo, catturo ogni suono, odore, sensazione e, ogni volta che sorprendo la mia mente a vagare, riporto l’attenzione al contatto dei piedi con il terreno. Il trucco per ancorare l’attenzione al qui ed ora è concentrarsi su una sensazione che è sempre presente, il tatto diventa dunque il punto di riferimento per ogni attività, tanto quanto il respiro lo è per quella meditativa.

Le mie impressioni

Come ho detto è circa un mese che mi sto dedicando a queste pratiche e posso dire che funzionano. Non so come, non so perché, ma se devo fare un bilancio complessivo mi trovo ad essere mediamente molto più calmo e rilassato. Ho iniziato a notare i progressi dopo un paio di settimane, ma mi ci è vuoluto un po’ per collegarli alla meditazione, visto che era qualcosa che facevo totalmente senza aspettative.

Credo che questo sia un aspetto importante: l’aspettativa spesso soffoca i progressi. È un concetto trito e ritrito, lo so, ma noi stiamo vivendo in questo momento, cosa importa cosa viene dopo? Prima di venire sommerso di obiezioni, specifico che sto parlando della tendenza tipicamente umana di vivere ogni attività come un’incombenza da sbrigare prima di giungere alla successiva; approcciandosi alla realtà in questo modo come si può sperare di essere consapevoli? Sono stato così abituato a bypassare la realtà, a non viverla per quello che è, che molte volte quando applico la mindfulness mi trovo ad annoiarmi, non è folle?

Altra cosa che mi ha molto sorpreso è notare il mio rapporto con il fastidio/dolore, che poi credo sia quello che un po’ tutti hanno. Quando si è in una situazione poco confortevole, si tende a farla passare il più in fretta possibile, a concentrarsi sul momento in cui finirà, ma facendo così la rendiamo ancora più sgradevole. L’ho capito una settimana fa mentre mi allenavo in palestra: quando mi concentro sul movimento che devo fare e nulla più, sentendo i muscoli lavorare ed il respiro cambiare ritmo, sfrutto meglio la mia forza e finisco per essere meno affaticato. Quando invece vivo l’esercizio come un’incombenza necessaria al fine di arrivare al momento di riposo, finisco per spazientirmi e perdere il gusto per quello che sto facendo.

Ho fatto l’esempio di un workout, ma il ragionamento si può applicare alla gran parte delle situazioni, dalla coda alle Poste, ai ritardi di Trenitalia. Diciamo che, come effetto collaterale, in questo periodo sto imparando ad avere pazienza e concentrazione. Di pari passo ho un maggiore dominio sulle mie emozioni, un’ansia significativamente minore e riesco a trovarmi a mio agio nella maggior parte dei contesti, anche quelli che storicamente mi mettono più a disagio. Tendo a giudicare meno me stesso e chi mi sta attorno e, di conseguenza, subisco molto meno il giudizio altrui.

Non mi sento un Buddha, provo emozioni e le proverò sempre, penso e penserò sempre, ma sto di sicuro andando verso una maggiore comprensione di me stesso e, di conseguenza, un maggiore equilibrio, utile per porre un po’ più in prospettiva gli eventi che mi capitano.

Ho ancora i miei problemi, ci sono sedute in cui il mio cuore fa le bizze e giorni — in prossimità degli esami — in cui colgo un substrato di ansia che dà parecchio fastidio, visto che mi sono abituato alla sua quasi totale assenza. Però è passato solo un mese, sono fiducioso riguardo il futuro.

La fondazione HeadSpace

L’ho già nominata prima e ritengo meriti un approfondimento, è grazie al sito e all’applicazione di HeadSpace che mi sono riavvicinato alla meditazione. Una volta registrati si può usufruire di un programma denominato ‘Take10‘ che consiste in meditazioni guidate da 10 minuti al giorno per 10 giorni, correlate con video informativi e supporti per applicare la mindfulness quotidianamente. Ovvio, ogni persona è diversa, ma è un programma che consiglierei a tutti i novizi. Il fondatore, Andy Puddicombe, ha anche scritto un libro, del quale ho fatto una recensione su GoodReads e lo ritengo una lettura consigliata anch’esso.

Il programma HeadSpace, dopo i 10 giorni, continua previa sottoscrizione di un abbonamento. Si possono avere diverse opinioni riguardo il lucrare su di una pratica spirituale millenaria, io stesso storco un po’ il naso, ma — come ha detto qualcuno — «Se sei bravo a fare qualcosa, mai farla gratis». È il capitalismo, bellezza!

Dunque io vi consiglio caldamente la ‘Take10′, ma la decisione di pagare per il prosecuo della pratica sta a voi. Potete tranquillamente ripetere il programma gratuito in loop per un po’ di tempo, al fine di acquisire bene il procedimento e poi continuare per i fatti vostri.


Non è stato facile scrivere questo pezzo, ma spero di essere stato utile a tutti coloro che sono interessati nella meditazione, anche perché, per quel che ne so, non esistono guide valide in Italiano per nessun tipo di pratica meditativa.