Anni fa lessi un aforisma di Platone sull’amicizia che la descriveva come “un’anima divisa tra due corpi”. Questa citazione mi colpì molto, soprattutto perché mi trovavo in un periodo della mia vita in cui gli amici — quelli veri — rappresentavano il mio più grande sostegno.
L’idea di un sentimento ferreo, nobile, che vincolasse due persone di qualsivoglia sesso come una sorta di patto inscindibile mi piaceva parecchio. Inutile dire che ero caduto nella trappola dell’idealizzazione, un subdolo fantasma che, una volta dimostrata la sua vacuità, si dissolve lasciandoti con un pugno di mosche in mano ed una sensazione amara in bocca. Il tempo passa, le persone cambiano, così come le tue stesse esigenze; a ben vedere non ci si deve né arrabbiare, né sentire in colpa per questo. I tradimenti, d’altro canto, possono fare davvero male e sebbene sia vero che il tempo lenisce ogni dolore, le cicatrici rimangono visibili, ad imperitura memoria. È quindi importante non lasciarsi condizionare da un singolo evento, precludendoci eventuali bei momenti futuri.1
Ho già parlato di quanto sia importante ogni singolo incontro, ogni rapporto, di come si debba essere consapevoli che ogni cosa prima o poi giunge al termine, di modo da goderne al meglio finché c’è. Oggi invece vorrei soffermarmi sull’importanza della scelta. Sì, perché fino a prova contraria siamo persone libere, capaci di intendere e di volere, che non devono necessariamente accontentarsi di tutto quello che capita. “Go with the flow” non vuol dire “abbassa la testa e fatti andare bene tutto”, ma piuttosto “impara a fare surf sul mare della Vita”.
Per spiegare ciò che intendo devo partire dalla radice della questione. Ci sono varie definizioni dell’amicizia, la famosissima: “L’amico si vede nel momento del bisogno”, oppure — la mia preferita — “L’amico si vede nel momento della felicità”. È logico che non si possa cristallizzare un rapporto in una frase, tanto più che ogni persona ha sensibilità diverse, e quello che per qualcuno potrebbe essere “l’amico della vita”, un altro, al suo posto, lo relegherebbe al rango di conoscente. Credo però che la nascita di questo tipo di rapporto abbia dei tratti comuni un po’ per tutti; dice Plutarco nel ‘De adulatore et amico‘:
[…] la base dell’amicizia è soprattutto un’istintiva somiglianza di personalità ed indole, per cui si amano le stesse usanze e modi di comportarsi, e ci si diverte con gli stessi fatti e le stesse attività.
Insomma, la condizione necessaria affinché sorga quello spontaneo sentimento di simpatia, propedeutico all’amicizia, è il feeling.2 Già qui iniziano le prime insidie per le amicizie di gioventù: i miei interessi (la mia stessa personalità) sono radicalmente cambiati rispetto anche a soli 5 anni fa, posso ancora considerare amiche persone che si sono trovate su percorsi di crescita differenti, fino ad arrivare ad adottare linee di pensiero che sono letteralmente agli antipodi, rispetto alle mie?
Ovviamente, messo così, è un discorso senza senso: il feeling non è che la scintilla iniziale, poi l’amicizia sorge e si nutre di tutte le esperienze vissute assieme (sia nella quantità che nella qualità); non importa quante differenze sorgano, se le persone che hai attorno ti conoscono intimamente, ti fanno sentire valorizzato, riescono a migliorare il tuo umore con la loro sola presenza e cercano di consigliarti per il meglio. Tutto ciò è vero, ma se non fosse realmente così? Se ciò che ho appena descritto non fosse altro che un effetto placebo, un’abitudine residua, un riflesso di ciò che un tempo era e che ora è svanito?
Dando per scontato che la propria attitudine verso gli amici sia la migliore possibile, c’è un indice che possiamo (dobbiamo) controllare, di modo da vedere con chiarezza le persone che abbiamo attorno: la sincerità. L’amico non si vede durante i bagordi, non si vede quando tende la mano per aiutare, né quando inveisce a tuo fianco contro qualcuno per cui condivide con te l’astio, queste sono cose che può fare anche chi conosci da una settimana. L’amico si vede quando prende una posizione e non ha paura di sbarrarti la strada e vomitare parole dure, se ritiene che tu stia sbagliando e/o ti stia facendo del male.
Sempre Plutarco:
A volte infatti, per far del bene a un amico capita di doverlo ferire, senza per questo che l’amicizia ne risenta. A volte si debbono pronunciare parole pesanti, come una medicina che guarisce e tutela il malato.
Un vero amico ti mette di fronte ai tuoi peggiori difetti, se necessario. Anche qui, però, bisogna saper tendere bene l’orecchio e discernere le finalità del rimprovero: non bisogna confondere un amico preoccupato che imbraccia l’arma della schiettezza, con un presuntuoso che mette in luce le tue vulnerabilità per sviare l’attenzione dalle proprie. A ben vedere basta un po’ di attenzione per cogliere le differenze: il primo tocca le corde giuste per scuoterti ed è propositivo, il secondo vuole solo disorientare; il primo redarguisce in privato, il secondo ha bisogno di un pubblico per rafforzare il proprio Ego e dimostra di non rispettarti.
Alla luce di ciò si può capire perché “chi trova un amico, trova un tesoro” e credo si possa iniziare a distinguere tra amicizie e frequentazioni, infatti un Amico — soprattutto nell’era degli smartphone — non è indispensabile vederlo spesso, affinché sia tale. Termino quindi il mio excursus, ricollegandomi a ciò che dicevo in apertura: indipendentemente dalla propria profondità d’animo e dal personale modo di concepire le amicizie, bisogna scegliere le persone che si vuole avere attorno.3
Per quanto dotato di autocoscienza e libero arbitrio, l’essere umano è un prodotto dell’ambiente in cui vive. Frequentando gente prevenuta, ad esempio, si è più soggetti a sviluppare pregiudizi. Chi è in mezzo ad un gruppo di sabotatori, abituati a sminuire gli altri per affermare sé stessi, dovrebbe scappare a gambe levate, perché quelli di sicuro non sono amici: sono sanguisughe di entusiasmo, che riuscirebbero a convincere una colomba di essere un pollo; molto meglio circondarsi di persone propositive.
Nella prima fase della vita si è indifesi e incapaci di badare a noi stessi, va da sé che il bambino deve sottostare alla volontà di altri e quasi tutto ciò che lo riguarda non lo sceglie, ma piuttosto gli capita. Il primo grande atto di indipendenza che può compiere un individuo adulto è compiere delle scelte e non accettare il peso di vecchie abitudini, se queste non danno più alcuna soddisfazione. Bisogna saper andare avanti, con gratitudine per ciò che in passato ha significato tanto, ma senza troppi rimpianti, senza tristezza, delineando il proprio percorso.
“So long and thanks for all the fish”